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Paolo Grossi – Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950 – 2000

Paolo Grossi
Giuffrè, Milano

Anno di pubblicazione: 2000

Il volume ha meriti indiscutibili. Offre una visione d’insieme, essenziale ma non semplificata, del pensiero giuridico dall’Unità alla Repubblica. Segue inoltre una linea interpretativa chiara e coerente, senza rinunciare a percorrere qualche “sentiero minore” che possa svelare “suggestivi paesaggi particolari”. Come ogni sintesi di rango, maturata in decenni di studi e di riflessioni, si affida dunque alla forza delle chiavi di lettura, anziché agli accertamenti eruditi e all’informazione bibliografica. Le tesi centrali sono ribadite con frequenza e le persuasioni ideologiche che le ispirano sono enunciate in modo perentorio.
L’opera disegna un percorso sostanzialmente lineare, che non conosce effettive fratture, attraverso la crisi di fine secolo, la guerra, il fascismo. L’angolo di osservazione è “interno alla ricerca scientifica” ed abbraccia la “scienza giuridica autentica”, “vera”. Il diritto insomma è visto sotto l’aspetto di scienza, della quale può aversi un solo concetto. In effetti il tema Jurisprudenz als Wissenschaft, declinato in questi termini nelle università della Germania post-kantiana (da Savigny, per riassumere con un simbolo) e rimasto pressoché estraneo ad altre culture giuridiche, si impose nelle università italiane nel corso degli anni ottanta dell’Ottocento. Si comprende allora perché i protagonisti della recezione riconoscessero solo agli studi universitari il requisito della scientificità. Più controverso è se il discrimine nei confronti di ogni altro indirizzo vada adoperato come canone storiografico. Esso riaffiora – certo: con ricchezza di notazioni – nella periodizzazione e in taluni giudizi del lavoro di Grossi, per il quale la fase di costruzione degli ordinamenti unitari non ha manifestazioni scientifiche di rilievo, la scienza prende avvio con gli anni ottanta ed è prodotto accademico. Nettamente distinta dalle sprezzanti rappresentazioni consuete è invece l’immagine attraente delle personalità irregolari o “eretiche”. Grossi però rifiuta ugualmente i recuperi disinvolti della loro alterità di intemerati “realisti” e li ricollega alla corrente principale del pensiero come coloro che seppero “aprire finestre”, allargare lo sguardo, intuire e a volte prospettare precocemente nuovi sviluppi.
La parte più cospicua del libro è dedicata alla prima metà del secolo XX, alla “semplicità perduta” del diritto di quel periodo ed alla crescente complessità delle elaborazioni corrispondenti. Le pagine assai nutrite sugli anni venti e trenta affrontano nodi cruciali per le indagini dei contemporaneisti. L’autore è convinto che “la vera cultura ha strade autonome che nessun regime autoritario può cancellare”. Tralascia perciò i piatti servitori del regime fascista e analizza “i tanti contributi di una scienza giuridica proiettata al di là delle contingenze”, impegnata, in continuità con le sue radici, “a costruire un edificio teorico duraturo”, a proseguire “una riflessione che ridonderà largamente nel secondo dopoguerra porgendo un terreno profondamente e fecondamente dissodato”.

Aldo Mazzacane