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Paolo Pezzino – Le mafie – 1999

Paolo Pezzino
Giunti, Firenze

Anno di pubblicazione: 1999

L’a. fornisce, in un agile manualetto di centoventi pagine, una sintesi non solo della mafia nostrana, ma delle altre maggiori odierne: quella italiana negli Usa, a cui è dedicato un capitolo; quelle ex-sovietica e colombiana, riunite nel capitolo finale, nell’ambito del quale solo pochissime righe sono consacrate alle triadi cinesi e alla yakuza giapponese, nulla invece alle criminalità balcaniche. Proprio questo capitolo finale costituisce un’interessante innovazione, tanto più rilevante in quanto lo sforzo comparativo è fatto dallo storico anziché dal sociologo o dal criminologo. Purtroppo i limiti dell’edizione hanno imposto di tagliare la trattazione delle “altre mafie”, in maniera tale da squilibrare l’esposizione, e limitare la portata metodologica del risultato.
I quattro capitoli iniziali, sulla mafia siciliana, costituiscono un’eccellente introduzione all’argomento: le prime ottanta pagine da leggere, per chiunque debba accostarsi alla storia del fenomeno mafioso. Il quale è subito definito, come ormai universalmente ammesso, un’organizzazione criminale capace di controllare un territorio e di sfidarvi le istituzioni statali, con una profonda opera di corruzione e infiltrazione. Di questa organizzazione criminale si individuano gli antecedenti nella Sicilia borbonica e la sua costituzione nel giovane Stato unitario, il suo emergere come “un problema di rilievo nazionale” nell’ultimo quarto dell’Ottocento, la sua crisi durante il fascismo e la sua rinascita nel dopoguerra, la sua “sovranità” nella cosiddetta “prima repubblica” italiana.
Vale la pena notare che (quasi) nessuno avrebbe definito la mafia come un fenomeno criminale, né cent’anni fa, quando predominava la tesi culturalista, della mafia espressione del modo di essere dei siciliani, né cinquanta, quando vinceva l’interpretazione sociale, della mafia rappresentante del predominio feudale. Oggi l’approccio alla mafia come organizzazione criminale, largamente tributaria del lavoro, e vorrei dire dell’approccio concettuale, dei magistrati, permette il raffronto con altri fenomeni le cui vicende storiche sono profondamente diverse, ma la cui architettura interna o le cui funzioni sociali sono invece comparabili. Il bel lavoro di Pezzino raggiunge un eccellente risultato di sintesi per quanto riguarda la mafia siciliana e statunitense, mentre sulle “altre” muove appena i primi passi di una comparazione che meriterebbe un appassionante approfondimento metodologico.

Paolo Viola