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Paolo Sorcinelli – Gli italiani e il cibo. Dalla polenta ai cracker – 1999

Paolo Sorcinelli
Bruno Mondadori, Milano

Anno di pubblicazione: 1999

Il volume riprende, aggiorna ed amplia un lavoro apparso nel 1992. Per l’a. “l’alimentazione rimane un tema che ‘sfugge’ e che nello stesso tempo, ogni volta rivela nuove suggestioni e nuovi approcci. Un terreno di indagine in cui economia si intreccia al sociale, l’antropologico al religioso, la cultura popolare alla dietetica, dove chi scrive è sempre di fronte al dilemma di fondo incentrato sul fatto di dover trattare in contemporanea di ciò che si mangia, di ciò che si può mangiare e di ciò che si vuole mangiare” (pp. 3-4). Impresa non facile quindi, che l’a. intraprende in solitaria rispetto ad opere collettive che negli ultimi anni si sono occupate di alimentazione.
Nell’opera s’intrecciano indagini storiche, sociali, economiche, mediche e d’igiene, fonti statistiche e militari, testimonianze dell’epoca, detti popolari, letteratura colta (ad esempio, Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi appare una fonte d’eccellenza) e un’attenta campionatura di una stampa locale borghese e socialista soprattutto per quelle aree, l’Emilia-Romagna e le Marche, che l’a. meglio conosce. Le abitudini alimentari degli italiani appaiono dettate da necessità, bilanci familiari, commerci, ma anche da atti simbolici, da mentalità e non ultimo dal genere. In particolare nel mondo contadino, le donne sono escluse dalla tavola, e il loro cibo è meno nutriente, e a volte varia in occasione delle gravidanze. Un capitolo è dedicato alle “contraddizioni del vino”, alimento prioritario e simbolico insieme al pane. Il consumo di alcolici assume valenze complesse: esso porta alla convivialità, dà origine all’associazionismo di mestiere e politico in osteria, viene ritenuto potenzialmente criminale per le “classi pericolose”, contraddistingue socialmente a seconda di ciò che si beve e non ultimo assume un’azione terapeutica.
In sintesi, la ricerca di Sorcinelli conferma il lungo percorso, ancora più lungo di quello intrapreso da altre popolazioni europee occidentali, che gli italiani hanno compiuto per passare dal frumento e dal granoturco (dalla polenta) ai cracker, in termini economici, dietetici, d’abitudine alimentare. Oggetto d’attenzione particolare sono i decenni tra Otto e Novecento, quando avviene la seconda fondamentale svolta nutrizionale – dopo la prima del XIV secolo – basata “su un passaggio da proteine e glucidi derivanti da cibi di origine vegetale a proteine e glucidi assimilati da alimenti di origine animale” (p. 165). Il percorso è lungo e complesso, differenziato per ceti e soprattutto per aree, rallentato dalle guerre, e termina solo tra gli anni sessanta e settanta. Utile, informativo e di piacevole lettura, il libro s’iscrive a pieno titolo nella bibliografia italiana di storia sociale e ci aiuta a capire quanto sia fuorviante l’immagine pubblicizzata di una “tradizionale dieta mediterranea”, ricca di oli d’oliva, di pomodori e di paste alimentari che la maggioranza degli italiani ha invece iniziato a consumare solo nel corso del XX secolo.

Patrizia Dogliani