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Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia

Francesco Benigno
Roma, Viella, 258 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il volume, che rielabora alcune riflessioni maturate durante vari incontri seminariali,
nasce dall’esigenza di sottoporre a un’analisi critica un ventaglio di concetti con cui gli
storici hanno interpretato il passato a partire dal secolo scorso.
L’a., uno degli storici modernisti più noti nel panorama nazionale, ha un duplice
obiettivo: da un lato, invitare gli stessi «interpreti della storia» a un’adozione più consapevole
e problematizzata del loro outillage; dall’altro, ridurre la distanza «tra gli “stati di
fatto storici” e la loro annotazione linguistica» (p. 11). Aggiornare a un presente sfuggente
la storia dei concetti selezionati – identità, generazioni, cultura popolare, violenza, potere,
Stato moderno, rivoluzioni, opinione pubblica e Mediterraneo – implica l’abbattimento della
barriera tra la prospettiva linguistica degli storici e quella del contesto di appartenenza.
La posta in palio è la legittimazione epistemologica dei saperi storici, i quali, a differenza
dell’antropologia, sembrano non essersi ancora sottoposti a una revisione interna, mirata
a un riallineamento con la realtà attuale. Tale stato di transizione deontologica è coinciso
con il sorgere di un nuovo «regime di storicità» (p. 15), contraddistinto da una storia
memoriale che guarda al passato per rinnovare perennemente un trauma emotivo la cui
matrice è da ricercarsi nella Shoah, e che si è sostituito a quello precedente, un passato
«degli storici» d’impianto idealistico e progressista, rivolto al futuro e nato dalla Rivoluzione
francese.
Andando nel dettaglio, i singoli percorsi intellettuali si caratterizzano per uno stile
denso e complesso, destinato a un pubblico di specialisti. Tali ragionamenti dimostrano
un’ampia e aggiornata conoscenza, da parte dell’a., dei dibattiti teorici riguardanti
le scienze sociali e la storiografia recente. Tra le varie citazioni, si segnalano i richiami a
Koselleck e Huyssen. Excursus sulle diverse accezioni teoriche di un concetto – come nel
capitolo dedicato al potere – si affiancano a ricostruzioni di dibattiti storiografici (Stato
moderno); al contempo, digressioni in cui emergono i transfer da antropologia e sociologia
alla storiografia, quest’ultima perlopiù relativa all’età moderna (cultura popolare, violenza,
rivoluzioni, opinione pubblica) si alternano a capitoli in cui prevale il richiamo alla temperie
in cui sono maturate categorie analitiche come generazioni o Mediterraneo. Completa
il quadro – anche se si tratta del primo concetto in ordine di sequenza – l’identità, vero (e
ambiguo) tratto caratterizzante di questa (e)mo-dernità.
Si tratta, in definitiva, di un libro colto, impegnativo e stimolante, da cui traspaiono
il solido profilo intellettuale di uno storico maturo e il suo bisogno di preservare i saperi
storici da una «decerebrazione» della loro capacità esplicativa. La soluzione è il ricorso a
un ragionamento critico, complesso, ma anche embedded nel presente. In sostanza, non
una «storia artigianale», ma neanche una disciplina aggrappata a categorie riproposte acriticamente
o a modelli che si limitano a decostruire.

Giovanni Cristina