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Partiti e culture politiche nell’Italia unita

Giovanni Sabbatucci

Anno di pubblicazione:

Il volume ripubblica saggi che l’autore ha scritto negli ultimi trentacinque anni circa
– molti di ricerca e già usciti in sedi scientifiche, altri invece destinati in origine a riviste
non accademiche, e quindi più sintetici e di respiro più ampio. Gli scritti sono raccolti
in cinque capitoli, in corrispondenza dei temi di ricerca più cari a Sabbatucci: l’Italia liberale;
i socialismi italiani; la Grande guerra; la crisi del primo dopoguerra; la repubblica
dei partiti. Un sesto capitolo raccoglie tre scritti più generali su altrettanti snodi cruciali
dell’intera storia politica d’Italia.
A leggere – o, per quel che mi riguarda, in molti casi rileggere – questi scritti, vengono
in mente innanzitutto due considerazioni, collegate per altro l’una all’altra. La prima,
che la lettura di alcuni passaggi della storia d’Italia dataci da Sabbatucci – la crisi del
primo dopoguerra, ad esempio, o i socialismi – è diventata parte integrante e definitiva,
«classica», della riflessione storiografica italiana. La seconda, che la qualità formale e
l’equilibrio interpretativo di questi saggi spiegano il perché della loro capacità di affermarsi
nel dibattito scientifico. Per le loro qualità formali, in verità, andrebbero additati ad
esempio ai giovani storici: costruiti intorno a tesi chiare; logici nello sviluppare l’argomentazione;
attenti a sfumature, bivi e considerazioni controfattuali; rigorosi ma parsimoniosi
nel citare fonti e storiografia.
Il punto focale della riflessione che l’a. ha sviluppato in questi scritti è in buona
sostanza l’anomalia italiana: la disfunzionalità del sistema politico e istituzionale liberale;
la sua incapacità di sopravvivere alla Grande guerra, anch’essa per altro vissuta dall’Italia
in maniera peculiare; le nuove disfunzionalità della Repubblica; il prevalere (anomalo
nel panorama europeo) del sovversivismo nella tradizione socialista italiana. Ora, il tema
dell’anomalia, come ormai sappiamo fin troppo bene, pone problemi metodologici assai
seri: perché postula la presenza di un’indimostrata «normalità», rischia di condurre a una
visione teleologica dello sviluppo storico, e può infine portare a scrivere una storia lagnosa
fatta tutta di mancanze e fallimenti.
Se Sabbatucci è riuscito a evitare questi rischi, è stato proprio in virtù dell’equilibrio
interpretativo che menzionavo sopra. Questi saggi trovano insomma una convincente via
di mezzo fra l’identificazione dei nodi non sciolti e delle occasioni mancate della storia
d’Italia, osservata sempre, implicitamente o esplicitamente, in comparazione con gli altri
paesi europei; e la consapevolezza che, malgrado tutti i nodi e le occasioni (i quali per altro
non era affatto «necessario» e «fatale» che non fossero sciolti e venissero mancate, come
l’a. in alcuni passaggi sottolinea chiaramente), il costante riferimento al contesto europeo
non può nemmeno diventare una fonte di cattiva coscienza storiografica permanente né
impedire di evidenziare quanto di positivo la vicenda italiana è riuscita a dare negli ultimi
centocinquant’anni.

Giovanni Orsina Roma-Bari, Laterza, 386 pp., € 35,00