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Pasquale Chessa e Francesco Villari – Interpretazioni su Renzo De Felice – 2002

Pasquale Chessa e Francesco Villari
Milano, Baldini & Castoldi, pp. 151, euro 13,00

Anno di pubblicazione: 2002

Non si deve far troppo conto dei generi letterari e dei loro arbitrari confini. Ma nel caso di questo libro mi pare invece che sia utile chiedersi a che genere appartenga. Non è un vero volume collettivo accademico, né una monografia a più voci, né una miscellanea divulgativa. E’ un volume di atti di una giornata di studio, però mediaticamente orientato, stampato in corpo grande, con poche note e pochissima bibliografia, volto a lanciare idee su un vasto pubblico ? sul tipo di quei prodotti nuovi che sono state le interviste sul fascismo a De Felice stesso (al quale bisogna riconoscere talento e mestiere, in senso lato giornalistici, nell’ampliare i confini dei generi letterari: il Mussolini non è certo una biografia tradizionale). Direi anche che questa inventiva sul confine tra storia, manovra mediatica, discussione ideologica è parte integrante della figura di De Felice: ce li vedete Franco Venturi, Arnaldo Momigliano o Santo Mazzarino a confezionare interviste sul Settecento riformatore, sul giudaismo ellenistico o sulla fine del mondo antico? Nessuno, come il contemporaneista De Felice è stato ? in modo tanto apertamente contraddittorio ? così vistosamente fedele alle tradizioni di documenti e nello stesso tempo immerso, da capo a piedi, nella polemica politica. Questo volume, dunque, vuol lanciare idee su De Felice e sul fascismo; e come ricapitolazione generale dei temi e delle soluzioni può riuscire utile. Certo non è un panorama molto equilibrato. Apre Denis Mac Smith, con una stroncatura del Mussolini lunga quaranta pagine, una scarica di critiche alle contraddizioni del vasto labirinto: allo stile, che è tra i più informi del nostro Novecento, alla struttura dell’opera, al suo spirito, e ai giudizi particolari. Se i curatori volevano tinte forti, le hanno avute; ma la figura del furetto infallibile ne esce a pezzi. Ricompongono i frantumi i saggi più svelti di Lyttelton sull’uso della categoria di totalitarismo; di Sabbatucci sui primi volumi della biografia, il Mussolini rivoluzionario; di Perfetti sull’opera in generale; di Milza sulla cultura politica del Duce, su che debba intendersi per ?rivoluzione nazionale?; di Lazar, infine, sull’incontro di Furet con l’opera di De Felice (l’Introduzione dei curatori si concentra invece sui giudizi di Cantimori, il primo interprete). Ma l’orientamento mediatico del volume è, a mio parere, il carattere essenziale di questa operazione che si potrebbe definire finto-ecumenica e normalizzatrice. Esso si manifesta anche con l’uso prudente dell’esclusione. Mancano, tra le interpretazioni sullo storico, due intere aree: quella degli storici oppositori da sinistra, i negatori radicali; quella, assai istruttiva, delle appropriazioni politiche: i nomi di Craxi e Fini non sarebbero dovuti mancare nell’indice dei nomi (se ci fosse stato).

Massimo Mastrogregori