Cerca

Pasquale Fornaro – Ungheria – 2006

Pasquale Fornaro
Milano, Unicopli, 276 pp., euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2006

Il volume si inserisce in un progetto editoriale di largo respiro avviato dalle edizioni Unicopli sulla storia dei paesi europei nell’età contemporanea, e abbraccia un arco cronologico ormai classico della storiografia sull’Europa centrale che, partendo dal 1867, data di nascita della Monarchia dualista, ripercorre le vicende ungheresi individuandone le principali fratture periodizzanti nei cambi di regime politico e assetto socio-economico intervenuti negli anni 1918/19, 1944/45 e 1989/90. Nei quattro ampi capitoli l’autore privilegia l’approccio politico- istituzionale di impianto prettamente manualistico, sebbene non manchino riferimenti all’evoluzione della società e della vita culturale ungheresi (da segnalare per la sua completezza quello relativo al periodo interbellico, pp. 128-41). In generale, una maggiore solidità d’impianto e finezza interpretativa contraddistingue la trattazione del periodo ante-1941. Pur senza avanzare ipotesi interpretative originali, Fornaro mette qui a frutto i risultati conseguiti negli ultimi 30-40 anni dai principali esponenti della storiografia ungherese contemporanea (Hanák, Berend, Ránki, Ormos, Romsics). Meno aggiornato metodologicamente appare invece l’approccio a nodi interpretativi come la partecipazione ungherese alla seconda guerra mondiale, l’instaurazione del regime comunista e il cambio di sistema successivo al 1989. Gli ultimi due capitoli scontano lacune documentarie dovute al mancato accesso alla storiografia ungherese più recente, sempre più indirizzata verso la storia delle mentalità collettive, dei cambiamenti sociali e culturali. Tali limiti appaiono evidenti nella sintetica trattazione dell’Olocausto (pp. 124-26), con l’assenza di un’analisi sui livelli di responsabilità individuali e collettivi per lo sterminio degli ebrei ungheresi, e della rivoluzione del 1956 (pp. 172-81). Nel secondo caso, si rileva che alle pp. 176-177 il secondo intervento sovietico del 4 novembre viene motivato con la dichiarazione di neutralità annunciata dal governo di Imre Nagy, e non dalla decisione presa il 31 ottobre dal Politburo, come emerge non solo dalla documentazione archivistica disponibile, ma anche dalle più recenti sintesi manualistiche (ad esempio il testo di Ben Fowkes sulla storia dell’Europa orientale dal 1945 al 1970, adottato in diverse università). Problematico risulta l’utilizzo del termine «nazionalismo», contrariamente alla tradizione anglosassone declinato in un’accezione negativa e chiamato, nel caso delle vicende dell’Ungheria del ‘900, a spiegare fenomeni storici assai distanti tra loro quali la politica di assimilazione condotta dallo Stato ungherese negli ultimi decenni dell’800 e il rapporto, spesso conflittuale, fra l’Ungheria e gli stati successori della Monarchia asburgica dal 1920 ai giorni nostri. Nel capitolo III, dedicato all’Ungheria comunista, si rileva infine una certa sottovalutazione del fattore sovietico (presenza militare ininterrotta dal 1945 al 1991, ruolo dei consiglieri politici e delle reti e filiere poste in essere dai servizi di sicurezza), la cui disamina risulta oggi imprescindibile ? anche all’interno di un’opera di sintesi ? per una piena comprensione delle vicende di un paese est-europeo nella seconda metà del ‘900.

Stefano Bottoni