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Patria e umanità. Il pacifismo democratico italiano dalla guerra di Libia alla nascita della Società delle Nazioni

Lucio D’Angelo
Bologna, il Mulino, 207 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il libro di D’Angelo è notevole, per la vastità, l’accuratezza della ricerca e della bibliografia, sia delle fonti secondarie che delle primarie: esso mette in evidenza i dilemmi e le contraddizioni dei movimenti per la pace «democratici» e borghesi italiani, specialmente in relazione alla guerra di Libia nel 1911 e alla prima guerra mondiale nel 1915.
Il titolo Patria e umanità esprime bene le problematiche di chi non voleva trovare un’unità di azione con i socialisti, convinti invece che si potesse arrivare alla pace tra i popoli solo con l’abolizione del capitalismo. Il pacifismo democratico proponeva soluzioni nell’ambito dell’ordinamento giuridico internazionale, e si rifaceva a una cultura umanitarista e positivista: tuttavia non era immune dall’irredentismo e da ideologie nazionalistiche, perfino imperialistiche, proprie a quel periodo storico.
E infatti in quegli anni vari esponenti del movimento presero posizioni belliciste: tra di essi il repubblicano Ghisleri, l’ex combattente risorgimentale e premio Nobel per la Pace Moneta e l’industriale e politico radicale Giretti. Dalle loro lettere e dai loro articoli emerge il senso di scelte spesso sofferte.
Già Moneta con la sua organizzazione, l’Unione Lombarda della Pace, che aveva appoggiato la guerra di Libia, in nome di una conquista civilizzatrice, aveva spaccato il movimento. Giretti e Ghisleri, in quell’occasione suoi oppositori, già prima del 1915 da neutralisti divennero progressivamente interventisti, convinti che si dovesse eliminare il militarismo e l’autoritarismo degli Imperi centrali, per affermare i valori liberali e democratici propri alle nazioni dell’Intesa.
Questi «pacifisti patrioti», presenti anche all’estero, pensavano che – come si diceva – «la guerra per finire con la guerra» (p. 37), seguita dalla fondazione di istituzioni internazionali, dal disarmo e dal libero scambio, potesse portare alla pace tra gli Stati.
Solo pochi, tra cui il socialista Bignami e la sua rivista «Coenobium», con l’appoggio di intellettuali come Roman Rolland, rimasero fedeli agli ideali pacifisti. Un Bignami che propose anche un progetto concreto per fermare la guerra, attraverso una Lega dei paesi neutrali, che ebbe vasta notorietà.
Sarebbe stato tuttavia utile nel libro un approfondimento dei rapporti del pacifismo democratico con altre correnti del movimento, legate al socialismo radicale (tra cui Bartalini e la rivista «La Voce» di Torino), a quello massimalista e sindacalista, all’anarchismo (v. Malatesta), al cattolicesimo, (sia in parte del papa e dei gesuiti, che dei giovani pacifisti di Torino con il giornale «il Savonarola»), e infine al protestantesimo (con i valdesi).
Una comparazione con i pacifismi, non solo democratici, delle altre nazioni, avrebbe inoltre potuto meglio mettere in evidenza le specificità di quello italiano. È probabile tuttavia che questo sia stato frutto di una scelta dell’a., per non ridurre il rigore del libro, che dà in ogni caso un contributo importante alla storiografia del movimento della pace in Italia.

Giovanni Aldobrandini