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Per la scuola di tutti. Breve storia della scuola italiana

Giorgio Mele
Roma, Ediesse, 151 pp., € 12,00

Anno di pubblicazione: 2014

L’a. è stato parlamentare per i Ds negli anni del primo governo Prodi in cui, alla crisi delle strutture politiche e culturali della Repubblica corrisponde il tentativo di dare una nuova configurazione al sistema nazionale di istruzione. Comincia allora un ciclo quasi ventennale di politiche scolastiche che mira a ricollocare la scuola dell’Italia democratica su basi molto diverse da quelle che la Costituente aveva ereditato e sulle quali sostanzialmente è avvenuto il grande processo di scolarizzazione degli italiani nella seconda metà del ’900. Le novità fondamentali di questa stagione recente sono riconducibili a due ordini principali di questioni. Da un lato, l’autonomia scolastica, nei fatti la disarticolazione del rapporto storico tra Stato e istruzione; dall’altro, una rinnovata offensiva ideologica contro l’assetto dell’istruzione secondaria sulla base del primato conferito agli studi classico umanistici. Entrambe queste novità insistono su un terreno comune, la nuova egemonia liberale, che esige l’alleggerimento dei compiti del sistema pubblico e una generalizzata subordinazione della sfera educativa a ragioni a essa estranee, di natura economica. Sulla linea di questi svolgimenti, in questi due decenni si affermano una serie di concezioni della scuola per cui non solo ciò che conta sta fuori di essa, ma compito fondamentale dell’istruzione cessa di essere il training effettivo delle persone, in nome di una più labile trainability, la disponibilità cioè dei singoli a lasciarsi plasmare dalle esigenze di conformità del sistema delle imprese e, in senso lato, della produzione. Ci si aspetterebbe, in un libro del genere, scritto da un punto di vista militante, un giudizio chiaro su questi processi. E invece sorprende la fiacchezza dell’argomentazione e la sua stessa opacità analitica.
Introdotto da una lunga quanto pigra ricognizione sulla storia della scuola, che niente lascia comprendere al lettore se non il complesso dei pregiudizi da cui è mosso l’a., l’approdo alle politiche scolastiche attuali si risolve in un insieme corrivo di giudizi che non si innalzano sopra il livello della polemica politica quotidiana. Prim’ancora di aprire le pagine di questo libro sappiamo dove stanno i buoni e i cattivi. La vera sorpresa è che tutto è espresso senza verve, senza grande passione intellettuale. Frutto dell’indebolimento ideologico di tutta una tradizione politico intellettuale italiana, di ascendenza gramsciana, ma anche di una pigrizia significativa sul piano della documentazione bibliografica, il libro sembra essere stato scritto cinquant’anni fa. Non c’è nessun esigenza di fare i conti con i libri italiani e con la letteratura internazionale che i temi del nuovo ordine scolastico degli anni ’90-’00 hanno sviscerato. Da Ravitch a Jones, per fare solo due tra gli esempi più rilevanti, Mele non ha alcun sospetto del dibattito che, da una sponda all’altra dell’Atlantico, ha accompagnato la nuova questione scolastica all’inizio del XXI secolo. Se avesse ricercato sul serio le ragioni dell’appannamento della prospettiva ideologica della scuola di tutti, ebbene, prima di invocare le colpe del neoliberismo sarebbe bastato, forse, all’a. fare un giro tra gli scaffali della sua biblioteca.

Adolfo Scotto di Luzio