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Political Audiences. A Reception History of Early Italian Television

Damiano Garofalo
Milano, Mimesis International, 2016, 160 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2017

Negli anni ’50-’60 la televisione fu il veicolo dell’acculturazione di massa degli italiani, il palcoscenico della nuova società del benessere, favorì la secolarizzazione dei costumi e la diffusione di quell’American Way of Life che nell’immaginario collettivo cominciava ad affiancarsi alle tradizioni e al patrimonio culturale autoctoni. Le reazioni del pubblico e degli intellettuali al «fenomeno televisione» costituiscono l’oggetto di questo libro, frutto di una lunga ricerca sulle principali riviste di area democristiana e comunista. Mediante l’analisi delle lettere e dei commenti su «Famiglia Cristiana» e «Vie Nuove», Garofalo ricostruisce la percezione e la rappresentazione che della Tv e dei suoi programmi elaborarono gli appartenenti alle «due chiese» dell’Italia del dopoguerra. Una ricostruzione che tiene conto anche degli assetti della Rai dell’epoca: un’azienda sotto lo stretto controllo della Dc e dei partiti di governo, i cui dirigenti cercavano, non senza fatica, di mediare tra l’esigenza di «istruire ed educare» e quella di «intrattenere».
Nonostante le diverse ideologie d’appartenenza, i pubblici cattolico e comunista sollevarono obiezioni analoghe rispetto ai programmi televisivi e al modello di Tv proposto dalla Rai e le affiliazioni politiche giocarono un ruolo scarso nel definire le identità sociali «of the spectators as interactive consumers of TV» (p. 145). Per i lettori di «Famiglia Cristiana» il problema più grave era «the lack of sexual morality on TV» (p. 122): film «indecenti», programmi diseducativi per i bambini, rappresentazioni «inappropriate» delle donne. Se per i cattolici, quindi, la preoccupazione maggiore era che la nascente cultura di massa potesse compromettere i codici etici e i valori della cristianità, i lettori comunisti di «Vie Nuove» criticavano, da un lato, la propaganda aperta o sotterranea a favore della Dc e, dall’altro, la contaminazione dell’«American Way of Television» e la diffusione della cultura del «possesso»: in tal senso la Tv era «in a position of open contrast with the vision of a life based on communist ideology and morality» (p. 54).
L’a. si sofferma anche sugli «intellectual engagements» (p. 82) da cui emerge innanzitutto l’esplicito pregiudizio antiamericano dell’intellettualità di sinistra e del Pci, frutto dell’erronea convinzione che la Tv fosse «the most effective format for transmitting cultural elements originating from foreign lands» (p. 84). Il raffronto tra le lettere degli spettatori e i commenti degli intellettuali evidenzia anche la distanza tra questi due universi. Il pubblico, infatti, via via più consapevole e maturo, cominciò a denunciare «the exaggerated distance between the intellectualism of the critics and the tastes of the public» affermando che non c’era nulla di «vergognoso» a guardare «Canzonissima» o «Campanile sera» (p. 100).
In sostanza il volume di Garofalo fornisce un ulteriore tassello alla comprensione di un’epoca della storia italiana densa di mutamenti e contraddizioni, nella quale stava cambiando anche il rapporto tra masse ed élite, tra cultura popolare e «sapere colto».

Giulia Guazzaloca