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Popular Justice in Times of Transition (19th and 20th Century Europe)

Émilie Delivré, Emmanuel Berger, Martin Löhnig (a cura di)
Bologna-Berlin, il Mulino-Duncker&Humblot, 218 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2017

Questo volume collettaneo, ideale seguito di Popular Justice in Europe (18th-19th
Century), costituisce un interessante contributo all’analisi delle forme di «giustizia popolare
» manifestatesi nell’Europa contemporanea. Curatori del lavoro sono Martin Löhnig
(Università di Regensburg, Germania), Émilie Delivré (Istituto storico italo-germanico di
Trento) ed Emmanuel Berger (Università federale di Paraiba, Brasile).
Le molteplici espressioni della giustizia popolare contemporanea sono restituite dai
diversi autori attraverso l’analisi di alcuni casi nazionali. Alla descrizione di fenomeni di
giustizia popolare ordinaria, si affiancano vicende di giustizia popolare speciale, legata
cioè a momenti storici e a crimini del tutto particolari: nel primo gruppo rientrano le giurie
popolari introdotte per integrarsi strutturalmente in un sistema giudiziario, come nella
Spagna ottocentesca (saggio di Pérez Juan); un caso emblematico di giustizia speciale è
invece quello delle giurie dei Tribunali del popolo austriaci, istituiti per giudicare i crimini
del periodo nazista (Löhnig). Tuttavia, la maggior parte dei fenomeni sembra rimanere
in equilibrio precario tra specialità e ordinarietà: è il caso delle giurie popolari create per
il sistema giudiziario francese negli anni – per niente ordinari – della Rivoluzione (Berger),
quello delle Corti del popolo nella Baviera del primo dopoguerra (Preisner), delle
«corti del popolo» del Terzo Reich, composte da uomini del Partito nazista (Chapoutot)
o, ancora, delle giurie popolari reintrodotte in Baviera nel 1948, rimaste in vita per due
anni (Koch).
Vi è poi da distinguere tra la giustizia popolare «formale» e quella che potremmo
definire una «violenza giudicatrice», esercitata fuori dai tribunali e generata da istinti personali
o collettivi, come le pratiche di gogna plateale del «rough music» nel Regno Unito
dell’800 (Banks) o lo «charivari» praticato durante i moti del 1848 (Delivré). Questi
fenomeni assumono una carica vendicativa e una forte tensione al ripristino della moralità
in pratiche quali la rasatura delle collaborazioniste nella Francia liberata dai nazisti
(Rouquet/Virgili).
Costituisce un caso a sé la giustizia «social-paternalistica» dei Collegi degli uomini
saggi, che avrebbero dovuto occuparsi dei conflitti tra lavoratori e imprenditori (Latini),
e, su tutt’altro piano, il fenomeno della derisione popolare spontanea contro la propaganda
sovietica nella Germania orientale postbellica (Tikhomirov).
Il lettore non avvertito può correre il rischio di sovrapporre forme di giustizia diverse
tra loro: una varietà che l’Introduzione avrebbe forse potuto definire meglio. Tuttavia, il
volume costituisce un lodevole contributo all’analisi della giustizia popolare e speciale;
uno snello ma denso racconto –tratteggiato da storici ma anche da giuristi e storici del
diritto – che suggerisce equilibri, precarietà e intrecci reciproci in cui forme diverse di
giustizia possono tessersi in età contemporanea.

Matteo Bennati