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Prove tecniche d’integrazione. L’Italia, l’Oece e la ricostruzione economica internazionale (1947-1953)

Roberto Ventresca
prefazione di Antonio Varsori, Milano, FrancoAngeli, 294 pp., € 38,00

Anno di pubblicazione: 2017

La ricostruzione dell’attività italiana nell’Organizzazione europea per la cooperazione
economica (Oece) nel 1947-1953 costituisce un focus originale rispetto alla diffusa
storiografia esistente sul Piano Marshall, la guerra fredda e il processo di integrazione
europea. L’a. ricostruisce aspetti inediti dell’attività della Delegazione italiana presso la
sede parigina dell’Oece – guidata prima dal democristiano Pietro Campilli e poi dal socialdemocratico
Roberto Tremelloni – sulla base di materiali d’archivio poco battuti (per
esempio l’archivio del Ministero degli Esteri, le carte Malagodi, quelle conservate presso
l’Iue).
In un quadro geopolitico avviato a essere egemonizzato dagli Usa, l’a. segue con
finezza interpretativa le diverse questioni di politica estera, economico-commerciale e
migratoria italiana, con i «tecnici» chiamati a fare i conti non solo con le resistenze degli
altri paesi europei, ma anche con i diversi conflitti di competenza tra i Ministeri dei governi
De Gasperi. Affrontando il ruolo svolto da figure dall’alta competenza in quel lungo
dopoguerra, l’a. descrive un modello di ricostruzione del nostro paese di tipo industriale,
sminuendo – come fa la quasi totalità della storiografia di riferimento – i problemi specifici
di un’economia ancora prettamente rurale, dall’elevata disoccupazione, avviata a funzionare
in termini dualistici Nord-Sud. Come sottolineato già da Alan Milward, i gruppi
sociali legati all’agricoltura avevano in realtà ancora influenza politica, in Italia come in
altri paesi europei, proprio grazie all’emergenza dettata dalla recente guerra; e ne avranno
anche durante la guerra fredda. Alla luce degli accordi di Bretton Woods, le importazioni
alimentari svolsero poi una significativa funzione di contenimento sociale, con effetti sulla
stabilità monetaria e sul Mezzogiorno. Questo rilievo è confermato dall’a. quando affronta
le proteste sollevatesi contro la liberalizzazione commerciale promossa dal ministro La
Malfa nel 1951, che colpiva interessi industriali ma anche agricoli.
Quando nel 1951-1952 Francia e Gran Bretagna decisero di tornare a forme di
protezionismo «sovranista» – la parte più interessante e densa di questo lavoro, basata su
fonti dirette (pp. 158-219) –, sembrò essere rimesso in discussione l’impianto multilaterale
promosso con il Piano Marshall. Ma l’Italia dimostrò di voler davvero operare una
discontinuità rispetto al recente passato autarchico, accettando un sistema commerciale
aperto e concorrenziale per alcuni prodotti agricoli e industriali, secondo un sistema di
divisione del lavoro internazionale che costituirà una specificità del suo modello di sviluppo.
Nella cornice euro-atlantica, come spiega in modo convincente l’a., gli esperti svolsero
allora un ruolo importante di mediazione degli interessi privati, nell’attuazione di alcune
fondamentali decisioni macroeconomiche i cui effetti stabilizzatori in ambito europeo
hanno attraversato la seconda metà del ’900.

Emanuele Bernardi