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Quale antifascismo? Storia di Giustizia e Libertà

Marco Bresciani
Roma, Carocci, 307 pp., € 27,00

Anno di pubblicazione: 2017

In questi ultimi anni l’organizzazione antifascista Giustizia e Libertà (1929-1940) è stata oggetto di diverse pubblicazioni, soprattutto biografie, raccolte di articoli ed epistolari. Mancava però un’opera che si proponesse di studiarla nel suo complesso. Il volume di Bresciani, autore già di importanti studi su Gl e di un profilo biografico di Caffi (La rivoluzione perduta. Andrea Caffi nell’Europa del Novecento, Bologna, il Mulino, 2009), colma questa lacuna. Senza trascurare la ricostruzione dei réseaux dell’emigrazione e della cospirazione, l’a. preferisce concentrarsi sul percorso intellettuale dei componenti di Gl. Un compito reso difficile dall’eterogeneità dei giellisti e dall’originalità del loro pensiero – che spazia tra liberalismo e socialismo in un confronto continuo con il magmatico panorama delle correnti politiche dell’entre-deux-guerres – ma che l’a. affronta con grande perizia, muovendosi tra fonti a stampa, d’archivio e memorialistica.
I cinque capitoli del volume non seguono un filo strettamente diacronico, ma procedono per problematiche. L’a. si sofferma innanzitutto sull’eredità nei giellisti della cultura politica italiana primonovecentesca, con tutte le sue ambivalenze: l’antigiolittismo di Prezzolini e Salvemini, l’elitismo e la critica ai partiti politici, il mito del Risorgimento incompiuto e l’interventismo democratico, il confronto obbligato con Croce e Gentile, il legame con la figura e l’opera di Gobetti. Superate le prime difficoltà nel decodificare le caratteristiche del fascismo-movimento, i giellisti cercarono, per così dire, di imparare dal nemico, differenziandosi dall’antifascismo delle altre formazioni politiche, a loro giudizio incapaci di comprendere la novità del regime e di condurre quindi una lotta efficace contro di esso.
Il volume lascia ampio spazio alle riflessioni dei giellisti sul legame tra il fascismo e alcuni fenomeni emersi specialmente con il primo conflitto mondiale come il culto della forza, la mobilitazione emotiva delle masse o l’ampliamento delle prerogative dello Stato nel controllo della società e nella gestione dell’economia. Ben ricostruito è anche il confronto interno ai giellisti e con le altre forze della sinistra sulle interpretazioni del fascismo, sull’eredità della Rivoluzione russa, sullo stalinismo e sulla sua possibile comparabilità con il totalitarismo nazista e fascista, sulle risposte alla crisi economica degli anni ’30, sul federalismo e sull’europeismo. L’a. pone nel giusto rilievo la «radicalizzazione» di Rosselli, Lussu e Trentin in seguito all’invasione italiana dell’Etiopia e alla guerra civile spagnola, che li portò ad accentuare il carattere rivoluzionario e classista del movimento e a entrare in conflitto con il gruppo di Caffi e Chiaromonte.
Il volume si conclude con l’inizio della seconda guerra mondiale, dedicando alcune riflessioni finali all’eredità della cultura giellista, nella consapevolezza però della diversità del contesto della Resistenza e del secondo dopoguerra nel quale si svolse la parabola del Partito d’Azione, erede solo per certi aspetti di Gl.

Luca Bufarale