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Raffaella Clarelli – Violenza e memoria. Limidi tra guerra e Resistenza (1943-1945) – 2001

Raffaella Clarelli
Modena, Artestampa, pp. 299, euro 10,33

Anno di pubblicazione: 2001

A partire da un imponente lavoro di ricostruzione attraverso l’uso della storia orale, l’autrice ? alla sua prima pubblicazione ? tratteggia con abilità, in un alternarsi coinvolgente fra commento storico e parole dirette dei protagonisti, un quadro molto minuzioso e articolato dell’atmosfera e del contesto in cui si svolge l’episodio, noto e celebrato nella storia della Liberazione, dello scambio di prigionieri a Limidi dell’autunno 1944. La mattina del 14 novembre intorno alle 8, un reparto della Guardia Nazionale Repubblicana assale improvvisamente Limidi, piccolo paese del modenese sede del comando del distaccamento della Prima zona, e arresta una gran parte degli abitanti, che saranno imprigionati nell’Accademia di Modena. Il 15 vi è un secondo rastrellamento a Soliera, i partigiani questa volta intervengono catturando alcuni ufficiali germanici, che offrono quindi il giorno successivo come moneta di scambio. I tedeschi, però, rifiutano l’accordo e richiedono invece la liberazione incondizionata dei propri ostaggi con la minaccia di uccidere altrimenti tutte le persone catturate e di radere al suolo i due paesi. Se pur fra tremendi dubbi e con sulle proprie spalle la responsabilità della vita di oltre 500 ostaggi, il comando partigiano sceglie di non cedere. La risposta della Gnr è quella di incendiare e saccheggiare per rappresaglia il paese e di apprestarsi alla fucilazione di 60 dei prigionieri; grazie all’intercessione del vescovo di Carpi e del parroco di Limidi, all’ultimo momento i partigiani riescono a trovare un accordo, vincendo così una decisiva battaglia psicologica nel confronto col nemico e riaffermando la propria autorità sulla zona. La ricerca della Clarelli possiede i pregi di un’opera approfondita e contemporaneamente di divulgazione ampia; orientato più verso il lettore qualunque calato nel contesto locale, il testo sembra avere il tacito obiettivo di dare voce alla memoria delle vittime, dimostrando una forte sintonia fra i soggetti del racconto e chi scrive, che diventa così quasi il portavoce di una memoria comunitaria che riconosce nella solidarietà il valore più alto della Resistenza. Nell’analisi dell’esperienza quotidiana della violenza e delle sedimentazioni che di essa permangono nella memoria, l’attenzione dell’autrice si sposta anche su di un secondo nucleo tematico; quasi casualmente si imbatte nei racconti relativi alla deportazione e sceglie di dar voce anche a questa seconda articolazione della violenza, dando respiro generale ad una storia locale, che diventa esemplificativa. In questa riconnessione fra la violenza esperita in luoghi familiari e la storia di chi è catapultato all’esterno, in un inferno reso sfuocato dalla lontananza, fondamentale risulta la capacità descrittiva dei dettagli che ridanno il senso della concretezza dell’orizzonte concentrazionario e impediscono quel processo di straniamento così usuale di fronte all’esperienza dell’estremo.

Toni Rovatti