Cerca

Raffaello on the road. Rinascimento e propaganda fascista in America (1938-40)

Lorenzo Carletti, Cristiano Giometti
Prefazione di Tomaso Montanari, Roma, Carocci, 235 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2015

su una ricerca d’archivio condotta in Italia e all’estero – su fondi di soprintendenze,
musei, gallerie d’arte e in parte già presentata – il lavoro, innervato di attualità
e non privo di un sottofondo polemico, affronta un tema importante: l’uso politico/
propagandistico delle opere d’arte. E lo fa, principalmente, attraverso la ricostruzione di
una vicenda per molti versi poco nota, che vide di contro coinvolte personalità e opere
d’arte assai note.
La vicenda centrale e preminente (pp. 57-171) – accostata da altre minori – si colloca
nel biennio 1938-1940 quando, per ragioni diverse, al di qua e al di là dell’oceano si
progettano mostre ed esposizioni. Nell’anno dell’Anschluss, del viaggio di Hitler in Italia,
dell’emanazione delle leggi razziali, il governo fascista inizia a pensare ai festeggiamenti
per il ventennale della marcia su Roma (1942), accarezzando l’idea di una monumentale
esposizione che riporti nella capitale opere d’arte italiane conservate in musei e collezioni
americane. Qualche tempo prima, al di là dell’oceano, il progetto di due fiere internazionali,
autonome, a New York e San Francisco, aveva a sua volta dato luogo a richieste di
capolavori italiani. Se il prestito di opere non era una novità, al buon esito dello stesso si
aggiunsero, stavolta, intuitive ragioni di natura commerciale e diplomatica e il reciproco
interesse dei due paesi. Fu così che dall’Italia presero il largo ventuno dipinti e sei sculture
senza quelle speciali cautele che i pezzi (fra cui Botticelli, Raffaello, Michelangelo, Tiziano,
Masaccio, Guercino, Tintoretto, Caravaggio e alcuni dei quali mai prima in mostra
in campo internazionale) avrebbero preteso. Esposti da febbraio a ottobre 1939 alla Golden
Gate International Exposition, fiera commerciale di San Francisco (in origine unica
tappa), raggiunsero poi – complice l’abile pragmatismo degli americani nelle trattative
– Chicago e New York.
La circostanza vide affiancati e attivi – anche se per motivi diversi – uomini politici,
collezionisti e storici dell’arte, più attenti, i primi, al versante politico-diplomatico
che alle questioni cruciali del trasporto e della tutela di opere tanto delicate, e spesso già
incautamente spostate. Nonostante un’avvertita coscienza dei rischi che quei capolavori
– fra traversate transoceaniche, spostamenti in ferrovia e autocarro, mutamenti climatici
e assenza di adeguato condizionamento d’interni – avrebbero corso, i doveri conservativi
delle opere – equiparate a oggetti da sfruttare, a bandiere dell’italica superiorità da esporre
e far circolare – cedettero alle «superiori ragioni».
Quando nel 1940 i capolavori tornarono a casa non tardarono a emergere, per alcuni
(Palma, Mantegna e Masaccio), danni irrimediabili. Ne scaturì, almeno, la creazione
dell’Istituto centrale del restauro e la forza di opporsi nel 1956 ad analoghe iniziative.
Le molte suggestioni offerte dal testo non riducono la sensazione di una giustapposizione
dei cinque capitoli, non sempre montati con la dovuta coerenza espositiva e a volte
faticosi da seguire.

Rosanna Scatamacchia