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Renate Lunzer – Triest. Eine italienisch-österreichische Dialektik – 2002

Renate Lunzer
Klagenfurt, Wieser Verlag, pp. 571, euro 29,00

Anno di pubblicazione: 2002

L’opera presenta una completa panoramica della koinè culturale (soprattutto letteraria) triestina del Novecento, interessante sia per la storia culturale dell’area in questione che per la formazione di nazionalismi ed identità di frontiera in generale. La letteratura triestina si inserisce infatti nel contesto mitteleuropeo, che è caratterizzato da una grande varietà culturale; regione periferica i cui protagonisti innanzitutto appaiono traumatizzati dai numerosi cambiamenti ed esperimenti politico-costituzionali subiti. Il lavoro, nonostante la sua mole, non riesce a fornire un bilancio complessivo della cultura triestina, mancando di un filo conduttore. Il libro, visto da uno storico, si presenta piuttosto come una sequenza di figure intellettuali della quale non vengono mai esplicitati i presupposti metodologici.
La tesi della Lunzer che la letteratura dei giuliani si collochi in un quadro di marginalità e perifericità è interessante e suffragata da numerosi esempi. La formazione intellettuale della generazione asburgica avviene nei più importanti centri universitari e culturali della monarchia. Lì, a Praga come a Vienna, essi appaiono sostanzialmente estranei alle tendenze culturali di quel mondo in fermento. Anche i ?fuoriusciti? che studiarono a Firenze (si pensi ai vociani Stuparich e Slataper) non giungeranno mai ad una piena identificazione o all’inserimento pieno negli ambienti culturali italiani.
La ?madre patria? che non sa riconoscere e rispettare le specificità di questo territorio porterà gli ?irredenti redenti? di Trieste fin dal primo dopoguerra a riconsiderare la questione della propria identità in un percorso tortuoso e penoso che si protrarrà per decenni. Biagio Marin rappresenta ed incarna tale processo di disincanto, che dura una vita, prima nei riguardi dell’Impero asburgico, del fascismo e, infine, della Repubblica. L’identità italiana è per lui primariamente culturale e, come per molti altri, è accompagnata da una scarsa identificazione con le istituzioni politiche italiane dalle quali l’autore in più occasioni si dichiarerà estraneo. I giuliani (Ervino Pocar in primis) troveranno un ruolo da protagonisti della cultura italiana come traduttori dalla lingua tedesca e pertanto capaci di una notevole opera di disseminazione culturale. Claudio Magris arriva ad intendere tutta la cultura in generale come un processo di traduzione e traslazione di emozioni e significati. Trieste in quanto città di frontiera di un impero multinazionale gli appare allora come un luogo naturale dove tale processo possa verificarsi. Poiché la tesi (di carattere normativo) non viene criticata, sembra fatta propria dall’autrice, ma contrasta con quanto viene descritto nei capitoli precedenti e dai quali risulta che gli intellettuali giuliani sembrano piuttosto destinati a vivere disillusioni politiche e a rimanere marginalizzati dopo avere abbracciato le varie manifestazioni (più o meno estreme) del nazionalismo.

William Klinger