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Renato Cavallaro – Storie senza storia. Indagine sull’emigrazione calabrese in Gran Bretagna – 2009

Renato Cavallaro
Napoli, Liguori, 280 pp., Euro 22,50

Anno di pubblicazione: 2009

La ricerca condotta da Renato Cavallaro si presentava all’epoca della sua uscita, nel 1981, come un lavoro innovativo, soprattutto per l’uso delle storie di vita come fonte in ambito sociologico. A questo aspetto è infatti dedicata un’ampia premessa in cui l’a. giustifica il metodo utilizzato e ne rileva limiti e potenzialità, inserendosi esplicitamente in un dibattito metodologico che definisce «assai intenso, ma sostanzialmente infruttuoso».A distanza di quasi trent’anni l’opera assume però un valore diverso, trasformandosi, come molte inchieste sociologiche condotte in quel periodo, in preziosa fonte per la ricerca storica sulle migrazioni nel secondo dopoguerra. È anche per questo motivo che la riedizione di un lavoro che per certi versi può apparire datato è in realtà del tutto opportuna.Le storie di vita di donne e uomini calabresi immigrati in Gran Bretagna negli anni ’50 analizzate nel testo (ma alcune anche pubblicate integralmente in appendice) offrono una grande quantità di informazioni sia sulla vita nelle località di origine prima dell’emigrazione sia soprattutto sull’esperienza migratoria nella fase di insediamento. Gli aspetti che vengono indagati sono numerosi e l’uso della fonte orale mostra tutta la sua importanza. Interessante, per fare un esempio, l’analisi dell’atteggiamento che immigrate e immigrati adottano nei confronti della popolazione locale e degli stili di vita ad essa attribuiti. Tra i molti materiali che emergono dalle interviste vi sono inoltre elementi particolarmente utili a ricostruire il complesso processo di integrazione, attraverso la costruzione di nuovi legami sociali, nel contesto locale di arrivo. Processo che appare, come sempre, sensibilmente differenziato a seconda del genere e della generazione di appartenenza, anche in virtù di differenti gradi nella libertà di movimento nello spazio geografico e sociale.Ma la ricerca di Cavallaro non si limita all’utilizzo di fonti qualitative. Nel descrivere l’area dell’indagine e il campione preso in esame, offre anche interessanti informazioni su aspetti poco noti e poco studiati a livello statistico. Uno di questi è la partecipazione delle donne immigrate al lavoro per il mercato. Dai dati presentati, tratti dalle «schede dei passaporti» custodite presso il Viceconsolato italiano di Bedford, si evince che le casalinghe di tutte le età classificate ufficialmente come tali superano di poco la metà delle donne (risultano essere il 52,3 per cento). Ma il numero di figlie e madri che lavorano è più elevato poiché vi è una quota non stimata di «lavoro non dichiarato per paura di inasprimenti fiscali da parte delle autorità governative» (p. 17). Sono dati che segnalano, dunque, una forte spinta al lavoro extradomestico da parte di donne originarie del sud Italia. Quelle stesse donne che, secondo alcune ricerche sulle migrazioni interne degli anni ’60 (e, successivamente, secondo non pochi sociologi e storici), dovevano essere le più ostili, tra le italiane, al lavoro femminile dopo il matrimonio (cfr. ad es. G. Bonazzi, Caratteristiche socio-demografiche della popolazione residente in Piemonte, in Ires, Immigrazione di massa e struttura sociale in Piemonte, Torino 1965).

Anna Badino