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Roberto Balzani (a cura di) – Collezioni, musei, identità tra XVIII e XIX secolo – 2007

Roberto Balzani (a cura di)
Bologna, il Mulino, 202 pp., Euro 17,50

Anno di pubblicazione: 2007

Aperto da una Introduzione di Balzani tesa a problematizzare in un contesto generale il tema della costituzione del patrimonio culturale tra ‘700 e ‘900 attraverso l’allestimento di collezioni e musei via via istituzionalizzati e resi di pubblica fruizione dopo un esordio contraddistinto dall’iniziativa privata, il volume si articola in ulteriori cinque saggi. Se si prescinde da quello di Donata Levi, dedicato alla ricostruzione del pensiero museografico dell’inglese John Ruskin e alla sua carriera nella seconda metà dell’800, essi insistono in particolare su uno specifico territorio, l’Emilia e la Romagna dall’epoca preunitaria ai primi lustri del ‘900.È la Parma borbonica a vocazione francese della seconda metà del ‘700, inorgoglita dalla scoperta di Velleia e protesa verso l’ambizione di trasformarsi anche attraverso un uso mirato dei reperti messi alla luce in un centro europeo culturalmente significativo, il soggetto del contributo di Anna Rita Parenti. Ci portano, invece, nel cuore di una Modena, nella quale il nobile moderatamente liberale Giuseppe Campori organizza – collegandosi anche con Vieusseux – la memoria storica locale e allestisce una robusta raccolta di opere d’arte, corredata da una vastissima collezione di autografi, sia il saggio di Luisa Avellini sia quello di Lara Michelacci. Concentra, infine, il fuoco dell’analisi sulla Faenza del primo ‘900, nella quale Gaetano Ballardini opera con alacrità per condurre a buon fine la sua idea di un museo della ceramica organizzato secondo criteri scientifici, la ricognizione proposta da Simona Boron.Ben documentati e puntuali, i saggi si offrono in primo luogo come solido contributo specialistico alla storia delle città che fanno da sfondo alle iniziative di cui si riannodano le fila. Ma essi raccontano anche, per altri versi, una storia comune, illustrando persuasivamente il rapporto dialettico intrattenuto dal notabilato cittadino vecchio e nuovo con una specificità identitaria locale destinata, attraverso la musealizzazione, ad oltrepassare il confine angusto delle mura e ad entrare in sinergia con la rete sovralocale intessuta coralmente dal pubblico della contemporaneità. Da questo punto di vista quelle raccolte, avviate talvolta ancora nello spirito di un orgoglio patrizio tendenzialmente autoreferenziale, al momento della loro pubblicizzazione assumono «un sovrappiù di senso che solo la dimensione simbolica e sociale dell’età contemporanea può consentire, se non di misurare, almeno di comprendere» (Boron, p. 191). Non riflettono più soprattutto e soltanto la piccola patria in se stessa, ma la proiettano verso un ineludibile dialogo con la nazione e con il mondo.

Marco Meriggi