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Roberto Vivarelli – I caratteri dell’età contemporanea – 2005

Roberto Vivarelli
Bologna, il Mulino, pp. 296, euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2005

Il titolo del libro può facilmente trarre in inganno. Non si tratta infatti dell’ennesimo volume messo dall’editoria a disposizione della didattica modulizzata della nuova università, ma piuttosto di un tentativo di riordinare i punti di una riflessione sulla contemporaneità, le sue radici e cesure. Elegantemente scritto e bibliograficamente ricco, il libro è fortemente ideologico. Limitata ai soli paesi dell’Europa occidentale, la ricerca delle radici culturali della contemporaneità retrodata i limiti cronologici, spingendosi su problemi e domande nella storia contemporanea scarsamente sensibili.
I primi quattro capitoli si concentrano su una serie di questioni preliminari, quasi a formare una sorta di dizionario di parole chiave: progresso, rivoluzione, liberalismo, Stato, mercato, nazionalismo. L’esame del dibattito culturale tra XVI e XX secolo sul concetto di progresso (pp. 52-55) culmina in una descrizione del XX secolo come ?un’epoca di decadenza morale e intellettuale? (p. 55). Il lungo esame del concetto di nazione si limita a una sola famiglia storiografica (Chabod, Salvemini, Namier), mentre quello di liberalismo, molto retrodatato, si intreccia con i riferimenti alle rivoluzioni, industriale e francese; responsabile, la prima, del relativismo contemporaneo e origine, la seconda, di una ?democrazia totalitaria? sfociata più tardi nel leninismo (pp. 85-105).
La parte centrale del libro è dedicata alla narrazione storica dal 1870 in poi, sbrigativamente liquidata come una fase che, nata dalla rivoluzione (demografica, industriale, francese), si presenta alternativamente come il periodo della violenza e della carneficina, del declino civile e morale. Il motore è il nazionalismo, capace di recidere la pianta del liberalismo; inteso questo come libertà dallo Stato e frutto di quella sorta di ?rivoluzione liberale? partita, tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII, dalla ridefinizione dei valori cristiani compiuta da Erasmo (p. 220). Agenti specifici della rottura di questi valori cristiano-liberali sono la teoria darwiniana e la rimozione, di cui questa è capace, ?della fede religiosa a favore di una pretesa verità scientifica? (p. 142) e la crescente secolarizzazione, qui rubricata come ?crisi della fede?, delle società occidentali (pp. 141-42). Se poco convincente è la lettura del darwinismo e dell’impatto che questo ebbe nelle società contemporanee, lascia maggiori dubbi la conclusione secondo cui ?la crisi della fede nei paesi occidentali aveva inaridito gli ideali liberali, di cui quella fede era stato il lievito? (p. 158).
Gli ultimi tre capitoli sono dedicati alla tradizione cristiana, vero fondamento della cultura europea e condizione necessaria del liberalismo. Questo, infatti, ?come mostrano esperienze odierne, privo di un orizzonte celeste non riesce a sopravvivere? (p. 278). La valutazione del mondo attuale non suscita grandi speranze: dopo il 1945, l’Europa non doveva semplicemente promuovere una riedificazione materiale, ma principalmente una ?ricostruzione spirituale? che le consentisse di ritrovare la sua identità; un processo, secondo l’autore, dopo più di mezzo secolo affatto irrealizzato (p. 195).

Giovanni Montroni