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Rodolfo Rossi – Baudrillart e la coscienza nazionale della Francia (1905-1921) – 2002

Rodolfo Rossi
Roma, Studium, pp. 231, euro 19,00

Anno di pubblicazione: 2002

La fama del cardinale Alfred Baudrillart è legata all’adesione, caso unico fra gli alti dignitari della Chiesa francese, data alla fine della vita (morì il 19 maggio 1942) al regime di Vichy. Il saggio che gli dedica Rodolfo Rossi, dottore di ricerca in storia sociale e religiosa, non si propone però di sondare le ragioni di questa scelta e sceglie di mettere a fuoco l’attività del prelato nel periodo che va dalla Legge di Separazione del 1905 alla ripresa delle relazioni diplomatiche tra Terza Repubblica e Santa Sede nel 1921 (evento al cui successo egli contribuì attivamente, ricevendone in compenso, nello stesso anno, la consacrazione a vescovo). Il quadro che ne risulta è circoscritto e lascia aperti troppi interrogativi, ma appare di grande interesse, e per più di una ragione. Il percorso di Baudrillart ? che dal 1907 e fino alla morte è rettore dell’Institut catholique di Parigi ? è, intanto, piuttosto inconsueto. Nato nel 1859 da una famiglia di forti tradizioni intellettuali e politiche (il nonno materno, Silvestre de Sacy, era stato l’anima del ?Journal des Débats?; il padre Henri, economista di fama, aveva diretto il ?Constitutionnel?), si è formato negli studi storici all’École normale, sotto la guida di Fustel de Coulanges e di Lavisse, ed ha insegnato nella scuola pubblica prima di approdare nel 1893 al sacerdozio. Da questa formazione ha tratto alimento quello che costituisce l’aspetto più rilevante della sua opera, la redazione di celebri manuali di storia per le scuole cattoliche: attività per la quale egli appare come l’anti Lavisse. Tra le pagine più interessanti del saggio appaiono in effetti quelle che delineano il suo contributo, ?analogo e speculare? (p. 40) a quello dello storico repubblicano, alla costruzione di una memoria per la Francia sconfitta. Per questo cattolico mediatore, avverso al modernismo ma anche all’estremismo dell’Action française, è importante, non meno che per Lavisse, proporre alle giovani generazioni una lettura conciliatrice della storia francese: e la sua cifra è quella del rapporto di fille aïnée che lega la nazione al cattolicesimo romano e che le conferisce il primato tra le nazioni. Figura chiave di siffatta ricostruzione storica è Giovanna d’Arco. Per i molteplici significati che essa assume per Baudrillart basterà dire, sulla scorta di Rossi, come sue fonti ispiratrici siano insieme Michelet e Péguy; quanto alla posta politica che entra in gioco, si dovrà ricordare che la canonizzazione di Giovanna, nel 1920, prelude alle trattative che mettono fine al regime di Separazione. In questa visione, come scrive a più riprese Rossi, l’universalismo cattolico e un nazionalismo che incarica la Francia di una missione universale si fondono in un impasto peculiarissimo. Salvo che, come avviene durante la Grande Guerra, i due poli si divarichino, ponendo Baudrillart, e con lui buona parte del clero francese, in una drammatica contraddizione: su questo problema, che meriterebbe di essere approfondito, si chiude il saggio di Rossi. E di qui bisognerebbe invitarlo a riprendere il suo lavoro.

Regina Pozzi