Cerca

Roma senza il Papa. La Repubblica romana del 1849

Giuseppe Monsagrati
Roma-Bari, Laterza, 250 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione:

Nel suo interessante libro, che si articola in nove capitoli e una parte introduttiva
dal titolo significativo La fuga del papa, Monsagrati propone una sintesi molto chiara su
uno degli episodi cardine del Risorgimento italiano. Proprio la fuga del papa da Roma –
evidenzia l’a. – fu il momento chiave per la nascita della Repubblica romana. Il vuoto di
potere conseguente alla decisione di Pio IX di scappare da Roma per Gaeta, il 24 novembre
1848, senza lasciare dietro di sé né disposizioni precise a un governo già in crisi per
l’assassinio di Pellegrino Rossi, né un’altra autorità in grado di agire efficacemente, aprì un
momento di transizione per lo Stato pontificio. Abbandonando Roma, il papa si sottraeva
all’influenza dei moderati, primo passo su una linea, elaborata dal cardinale Antonelli,
volta al ripristino del potere temporale e alla liquidazione del «biennio liberale» grazie
all’intervento straniero, opportunamente negoziato affinché nessuna delle potenze chiamate
in soccorso potesse imporre il mantenimento delle riforme. Il primo a radicalizzare
la crisi, quindi, fu proprio il papa, o meglio la politica pontificia decisa da Antonelli.
L’assenza di Pio IX, come detto, mise in difficoltà i moderati, lasciando campo libero
al fronte democratico che ottenne l’elezione di un’Assemblea costituente (21 gennaio
1849). In quel clima giunsero da tutta Italia elementi di rinforzo allo schieramento democratico
– ad esempio Garibaldi – che si ritrovò maggioritario alle elezioni. Dovettero
passare due mesi dalla fuga di Pio IX perché il 9 febbraio 1849 fosse proclamata la Repubblica.
Mazzini arrivò solo il 5 marzo ed ebbe subito una parte rilevante nel triumvirato,
con Saffi e Armellini, posto al governo della nuova entità statale.
L’a. ricostruisce la vita politica e sociale della Repubblica romana, sottolineando le
innovazioni introdotte da un governo espressione del popolo che fece di tutto per controbattere
sul piano pratico e ideale quello che era stato il malgoverno pontificio, opponendogli
un esempio di buongoverno democratico. Insomma, l’a. ci offre un ritratto ampio
e approfondito della Repubblica, contrapposta al machiavellismo del governo pontificio
e delle potenze europee. Ci furono, ovviamente, episodi di violenza come quelli di cui si
macchiò Zambianchi. Ma «bastano – s’interroga l’a. – vicende come queste o gli episodi
di quasi quotidiana criminalità comune registrati da Roncalli a infangare il volto della
Repubblica? Non diremmo. Anche allora la rivoluzione non era un pranzo di gala, come
qualcuno dirà un secolo dopo» (p. 92).
Alla fine l’intervento straniero pose fine alla Repubblica che riuscì, comunque, a
promulgare la sua costituzione testamento. La restaurazione ebbe «il solo risultato di protrarre
di altri vent’anni ma di non poter fermare l’agonia del millenario potere temporale
dei papi» (p. 224). La sconfitta, però, non cancellò l’idea che Roma poteva vivere senza
il papa, o, in prospettiva, senza un pontefice investito di sovranità temporale. E questo a
mio avviso è uno spunto importante del libro.

 Christian Satto