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Romano Canosa – Storia dell’Abruzzo nell’età della Restaurazione – 2002

Romano Canosa
Ortona, Edizioni Menabò, pp. 213, euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2002

Il prolifico autore non è nuovo ad affrontare, accanto a temi generali, anche vicende e personaggi della storia moderna e contemporanea dell’Abruzzo. In genere il taglio di questi lavori è divulgativo e in quanto tale capace di rivolgersi ad un più vasto pubblico di non addetti ai lavori con argomenti di grande pregnanza. In questo caso, tuttavia, il risultato non sembra particolarmente riuscito; come pure, viceversa, modesto appare l’approccio storiografico che sottende l’opera. L’autore mostra di avere scarsa conoscenza della più recente e aggiornata letteratura sull’argomento (peraltro nemmeno particolarmente ricca), mentre lacunosa si presenta la stessa conoscenza bibliografica più datata che avrebbe comunque contribuito a dare maggiore compiutezza allo studio.
I limiti sostanziali risiedono nell’assenza di ogni riferimento ai ceti dirigenti abruzzesi nella delicata fase di passaggio dall’età murattiana al rinnovato regno borbonico nel suo svolgimento ?amministrativo? e nell’aver ignorato l’enuclearsi e il progressivo affermarsi nelle pieghe periferiche dello Stato meridionale di uomini e ceti che, attraverso le cesure degli anni 1820, 1837, 1841, 1848 (dall’autore considerati in termini puramente evenemenziali), tendono a dislocarsi all’opposizione. Rari e finali sono peraltro i cenni agli intellettuali abruzzesi cui, proprio per gli anni considerati, si deve l’avvio di un dibattito culturale (che ebbe evidenti risvolti civili e politici) che pose le basi per la costruzione di una identità regionale; sotto questo profilo assente è qualsiasi riferimento al “Giornale abruzzese di scienze, lettere ed arti” di Pasquale De Virgiliis e al “Gran Sasso d’Italia” di Ignazio Rozzi e Luigi Dragonetti che rappresentarono due importanti palestre al cui interno compì il proprio apprendistato politico la parte migliore della intellettualità regionale. Allo stesso modo non viene affatto colto il ruolo svolto dalle Società economiche la cui attività viene brevemente riassunta in termini essenzialmente descrittivi misconoscendone l’importante significato culturale, specie sul versante tecnico-scientifico, che, se nell’immediato non ebbe particolari ricadute pratiche, costituì un corposo retroterra fatto di studi e conoscenze, a cui i ceti dirigenti abruzzesi ebbero modo di attingere all’indomani dell’Unità. La stessa narrazione risulta appesantita da un utilizzo sovrabbondante di citazioni di documenti d’archivio o di brani tratti da opere edite che nulla aggiungono alla migliore conoscenza dei fatti considerati come nel caso della stucchevole elencazione comune per comune del numero dei decessi per le epidemie di colera. Pressoché inesistenti e comunque privi di profondità appaiono altresì i rari abbozzi interpretativi proposti.

Luigi Ponziani