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Rovesci della fortuna. La minoranza italiana in Libia dalla seconda guerra mondiale all’espulsione 1940-1970

Francesca Di Giulio, Federico Cresti (a cura di)
Roma, Aracne, 144 pp., € 10,00

Anno di pubblicazione: 2016

La nota positiva del volume collettaneo è che tutti i cinque contributi raccolti hanno una base documentaria solida e inedita: in un caso si tratta di alcune fonti orali registrate in Italia e in Libia e negli altri casi di fonti d’archivio per lo più rintracciate presso l’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri o altri archivi italiani. Nel suo insieme il volume indaga la complessa vicenda politica e sociale della comunità italiana nella Libia in transizione, dal colonialismo all’indipendenza, dagli anni ’40 agli anni ’60.
Peccato che la ricchezza dei documenti si appiattisca su un’analisi tutta incentrata sul dato italiano: i comunisti italiani di Libia (Luigi Candreva), le vicende della Società Dante Alighieri (Stefania De Nardis), la conta degli italiani (Francesca Di Giulio) e gli attriti con gli occupanti inglesi (Luigi Scoppola Iacopini). La sola eccezione è rappresentata dal bel saggio di Chiara Loschi che si intrattiene e si interroga sulle memorie degli italiani di Libia dopo la fine del colonialismo nel quadro di una società postcoloniale che negli anni ’60 è ancora visibilmente «stratificata» (p. 107) e connotata in termini divisivi (italiani e libici). Eppure, proprio dalle memorie private, piuttosto che dai documenti ufficiali, esce una percezione dell’alterità dei libici «raramente malevola» (p. 112). Per gli altri contributi la Libia e i libici letteralmente non esistono, così come non esistono le ragioni che portarono il regime rivoluzionario di al-Qadhdhafi all’espulsione in massa degli ultimi italiani nel 1970.
Viene da pensare che sia una voluta avvertenza per il lettore quella che si legge nella premessa del curatore senior, Federico Cresti, che rammenta come il volume raccolga i «contributi di alcuni giovani studiosi» (p. 9): non vi è ovviamente nulla di male a considerare come oggetto di studio privilegiato la comunità italiana, ma l’ignorare volutamente l’ampiezza delle ricerche pubblicate da specialisti del colonialismo italiano (siano essi africanisti o contemporaneisti) rischia di consegnare il volume uscito nel 2016 direttamente alla storiografia degli anni ’80. Tanto più che la collana «Africa. La ricerca e la storia» dell’editore Aracne dichiara di voler accogliere lavori di ricerca rilevanti per cogliere «l’analisi dei processi di interdipendenza mondiali […] in un ambito africanistico» (p. 3). Crea infine un certo imbarazzo l’affermazione della curatrice junior, Francesca Di Giulio, che nell’Introduzione dice: «L’esodo degli ebrei e poi degli italiani ha cambiato l’aspetto della società libica, non più aperta alla diversità, ma chiusa in una angosciante lotta per la costruzione della propria identità nazionale» (p. 16). Davvero la pluralità sociale e culturale del paese è riducibile alla presenza di italiani ed ebrei e davvero quel passato coloniale al quale gli italiani, volenti o nolenti, rimandavano fu un periodo di apertura agli altri?

Antonio M. Morone