Cerca

Sandro Bellassai – L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia contemporanea – 2011

Sandro Bellassai
Roma, Carocci, 182 pp., Euro 17,00

Anno di pubblicazione: 2011

Ci troviamo davanti a un libro agile, che si legge d’un fiato, dedicato alle vicende della virilità, intesa come «ideale politico astratto che ha segnato profondamente per oltre un secolo linguaggi, immagini, comportamenti di soggetti maschili concreti» (p. 9). Il saggio contiene «una proposta, un’ipotesi, una ricognizione provvisoria», mette in guardia pudicamente l’a. (p. 11); non per questo l’obiettivo è meno ambizioso: «delineare le molteplici connessioni fra storia politica, sociale e culturale» per «una storia sessuata del potere nell’Italia contemporanea» (p. 12).Alcuni passaggi del ragionamento sono molto convincenti. Ad esempio quando l’a. dimostra come, tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, la divisione dell’umanità in soggetti superiori e inferiori, propria dell’imperialismo razzista e delle pulsioni antidemocratiche, trovi nel «virilismo» un linguaggio rafforzativo e un significante fondamentale. Si tratta di un contributo utile se si pensa che proprio gli studi sul nazionalismo italiano hanno più spesso trascurato la dimensione sessuata sia dei discorsi sia dei soggetti politici. Il connubio tra ideologia della virilità e fascismo ispira, poi, un altro capitolo chiave del volume, che tira efficacemente le somme di una lunga stagione storiografica avviata da Mosse. Alcune perplessità sorgono però a monte e a valle di questo nucleo centrale. A monte c’è il problema sia della genesi sia delle «funzioni» cui assolverebbe la «virilità» come canone politico. L’a. ne individua il motore in una «reazione» alle paure suscitate dalle rivendicazioni femminili e dalle trasformazioni sociali del tardo ‘800, estendendone la portata alla «gran parte della popolazione maschile», alle prese con «ansie antropologiche diffuse» (p. 19). Una così (troppo) ampia generalizzazione è al servizio di un’ipotesi: che un linguaggio politico virilista rassicuri «ampi settori del genere maschile» che possono «così più facilmente accettare di far parte della società di massa» (p. 23). L’atmosfera tende per il lettore a farsi qui un po’ rarefatta: a convincere e a coniugare fino in fondo dimensione culturale, sociale e politica, servirebbero riferimenti a contesti e a gruppi sociali specifici, lungo un arco cronologico che abbracci anche l’Italia repubblicana.E siamo così a valle del ragionamento: se un nesso tra virilità e pulsioni anti-democratiche è costitutivo del rapporto tra gli italiani e la politica, i termini della questione nella costruzione dello Stato democratico è un tema ineludibile. Un richiamo alle ragioni delle antinomie che operano nei decenni che separano la Costituzione dalla riforma del diritto di famiglia, sarebbe risultato coerente con la prima parte del libro. Sull’età repubblicana si assiste invece a un cambio di passo, non privo peraltro di interesse: l’a. segue le trasformazioni legate ai consumi e alla stagione dei movimenti che ritiene i fattori decisivi di un lento declino del canone virilista, le cui agonie terminali ricostruisce fino alla stagione politica che abbiamo (forse) appena superato.

Domenico Rizzo