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Sebastiano M. Finocchiaro – Il Partito comunista nella Sicilia del dopoguerra (1943-1948) – 2009

Sebastiano M. Finocchiaro
Caltanissetta-Roma, Sciascia, 287 pp., Euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2009

Se la costruzione della statualità e della potenza industriale sovietica passava attraverso uno spietato e sanguinoso conflitto tra i bolscevichi e le campagne dell’ex Impero russo, l’edificazione del «partito nuovo» di Togliatti nel Mezzogiorno italiano, negli anni a cavallo tra la liberazione e il dopoguerra, percorreva una strada molto diversa. Anzi, come ci racconta la ricerca di Sebastiano Finocchiaro, questa «linea contadinista» del Pci assumeva in Sicilia significati ulteriori, ancor più originali, profondi e pervasivi, fino ad assumere toni relativamente avulsi da tutta la restante realtà meridionale.Eppure, rimarca l’a., quando Togliatti tornava in Italia nella primavera del 1944, il punto di ri-partenza del comunismo siciliano non sembrava discostarsi affatto da quanto stava avvenendo sul piano nazionale. Infatti, il Partito rappresentava nell’isola «poco più di un pulviscolo di gruppi locali», con una «forte tendenza al frazionismo» (pp. 29-30) che contrapponeva i settori più radicali e insurrezionalisti ai fautori della politica di unità nazionale. Il braccio di ferro volgeva decisamente a favore di questi ultimi solo a partire dall’estate del 1944, quando Girolamo Li Causi prendeva nelle proprie mani le redini della direzione regionale, trasformando il Pci in un’organizzazione di massa, impegnata in una quotidiana battaglia contro il latifondo agrario e per l’autonomia regionale. Si delineava così una sorta di «via siciliana» al socialismo, alimentata dalla mobilitazione contadina contro i privilegi dei grandi proprietari terrieri, con tutto il loro portato di sperequazioni e vessazioni dal sapore arcaico e feudale. In qualche modo, era una battaglia che anticipava l’esperienza più generale dei movimenti per la «rinascita del Mezzogiorno» promossi, di lì a qualche anno, da Alicata, Amendola e De Martino. Tuttavia, è altrettanto indubbio che quella linea d’azione esprimesse anche, e fin dal principio, alcuni tratti irriducibilmente siciliani: la scarsissima penetrazione tra i ceti medi urbani, l’accesa competizione con il movimento indipendentista, la durissima contrapposizione alla mafia, una costante ostilità delle forze dell’ordine (perfino nel corso dei governi di Cln), lo scontro perfino fisico con i militanti Dc a partire dalle campagne elettorali del 1946.L’impressione generale che se ne ricava è che la Sicilia giocasse costantemente d’anticipo rispetto ai ritmi della politica nazionale, lasciando maturare ed emergere anzitempo tensioni, conflitti e fratture dai toni particolarmente esacerbati. Cosicché, se la prova elettorale del 1948 trasformava l’Italia in una «linea di confine tra i due campi» (p. 219), era soprattutto nell’isola che il centrismo metteva davvero l’elmetto, impegnandosi in una delle contrapposizioni più dure nei confronti delle sinistre, fino a esportarne le logiche sullo stesso piano nazionale. Non a caso, tira le somme l’a., «l’anima repressiva del potere» (p. 219) assumeva il volto del siciliano Mario Scelba, l’uomo di ferro del quadripartito degasperiano.

Giovanni Cerchia