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Sergio Giuntini – Pugni chiusi e cerchi olimpici. Il lungo ’68 dello sport italiano – 2008

Sergio Giuntini
Roma, Odradek, 212 pp., euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2008

«A fronte di una produzione saggistica imponente, solamente il versante sportivo è rimasto ai margini della multiforme riflessione sessantottina e post-sessantottina» (p. 28). Proprio allo scopo di colmare questa lacuna della storiografia italiana (incapace del resto di indagare tout court questo «fenomeno sociale totale» in maniera sistematica e convinta), Sergio Giuntini si è proposto di delineare un quadro dello sport nella cornice del «lungo ’68». «Lungo» perché, in una variegata carrellata di personaggi ed eventi, ci parla delle ribellioni proto-sessantottine di Meroni e degli studenti dell’Isef per arrivare fino ai dibattiti sulla partecipazione o meno delle squadre azzurre alla finale di Coppa Davis in Cile nel ’76 e ai Mondiali di calcio organizzati dall’Argentina di Videla nel ’78.Attraverso la lettura analitica delle vicende dei «provos» olandesi e delle loro biciclette ecologiste, di Cassius Clay/Mohammed Alì e della sua sfida al sistema, di Tommie Smith col suo guanto nero e di tutto il movimento del Black Power, del presidente del Cio Avery Brundage e della sua incapacità di interpretare il movimento olimpico in chiave politica, e di una sequela di altri protagonisti (anche non sportivi: vedi le imprese calcistiche e rugbistiche del Che), si procede alla ricostruzione di una fase storica attraverso il prisma dello sport internazionale. Il tutto viene fatto con una precisione aneddotica che tuttavia, nel tentativo di essere più puntuale possibile, risulta a volte troppo didascalica.Laddove invece l’a. riesce ad aprire squarci d’originale indagine è nella parte dedicata al caso italiano (capp. 4 e 6), in cui presenta una serie di interessanti informazioni, in particolare sull’associazionismo sportivo di sinistra. Un associazionismo che dagli anni ’60 in poi, in particolare con l’Uisp, tenta di rimodulare l’approccio di una sinistra che in Italia storicamente aveva sempre palesato, se non ostentato, una certa diffidenza nei confronti dello sport inteso come strumento delle classi dominanti e che invece, se reinterpretato in senso democratico ed anti-competitivo, avrebbe potuto diventare elemento di coinvolgimento politico per le masse. Il tutto corredato da un vasto impianto di riferimenti storiografici e da un ampio utilizzo della stampa periodica e della pubblicistica associazionistica.In conclusione, l’opera di Giuntini, nel tentativo di voler amalgamare l’epifenomenologia sportiva mondiale in relazione a tutto l’universo politico e sociale sessantottino con il particolare della realtà italiana, risulta penalizzata dalla presenza di due blocchi contrapposti che non riescono ad omogeneizzarsi in maniera compiuta. Peccato quindi che Giuntini abbia optato per una soluzione che, seppur forse più adatta ad un pubblico di lettori eterogeneo e meno smaliziato, ha sicuramente sacrificato gli aspetti maggiormente utili ad una comprensione piena dell’intero movimento sportivo italiano, da destra a sinistra, in una fase in cui sono mutati i parametri di riferimento di tanti elementi della società del nostro paese.

Fabio Chisari