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Sergio Romano – I luoghi della storia – 2000

Sergio Romano
Rizzoli, Milano

Anno di pubblicazione: 2000

Il titolo è troppo importante per una raccolta di articoli e il risvolto di copertina persino imbarazzante, per quanto si allarga. Ma se pur non riusciamo a tener dietro a tutti i suoi libri, Romano va seguito: fra gli opinionisti che attualizzano la storia da cattedre giornalistiche – nel farsi e divenire egemone di un discorso pubblico post-’89 e, in Italia, post-fascista e post-antifascista – ha fondamenti culturali più larghi, esperienze non solo libresche e una indipendenza di giudizio che lo può rendere spiazzante per qualunque lettore. Si veda, in questo libro, quando l’autore di Confessioni di un revisionista parla di “spensierato servilismo culturale” dell’Italia agli Stati Uniti (p. 131); o dei dubbi pentimenti Usa per le operazioni della Cia (pp. 411-14); o di chiesa cattolica (p. 339), di abdicazione dello Stato laico con il “vecchio padrone” che si è ripreso Roma (p. 263). Ha poi un altro tratto distintivo rispetto a quasi tutti gli altri: è un ex anche lui, ma un ex-diplomatico di prima grandezza, non un ex-uomo di sinistra rancoroso, afflitto da problemi identitari e incline a farne pubblico commercio. Non è poco. E ora che quasi tutti si dichiarano “liberali” sarebbe buona cosa veder acquistare autorevolezza nei media a un uomo di destra credibile.
Rispetto ad altri suoi libri, trovo più misurata questa raccolta di articoli (dalla “Stampa”, dal “Corriere della Sera” e da volumi editi da Scheiwiller, alla cui memoria questo è dedicato). L’autore li riorganizza in tre parti – Personaggi, Popoli e luoghi, Guerre e segreti . Non sono recensioni, piuttosto note a margine, ma sullo sfondo c’è spesso un libro: non esclusi classici difficili, tipo de Maistre o Gobineau, che ne attirano l’anticonformismo conservatore. La “febbre dei risorgimenti nazionali” (p. 306) richiama i suoi colpi, ma si registra lo “snobismo storiografico” di chi sembra riconoscere le passioni e i moventi solo di alcuni popoli (p. 303). Lui, Romano, ne diffida comunque, ma in forma paritaria. Gli arcana imperii gli appaiono cose più serie e il lavorio della diplomazia, così come le disincantate figure dei diplomatici, che si muovono, senza voli, nell’area del possibile, hanno una parte rilevante in queste pagine, ispirate al realismo e ai dati non effimeri della geopolitica: è il “nostro capitale geopolitico” (p. 442) che determina le vicende dell’Italia del dopoguerra; così come la geopolitica aveva reso l’Inghilterra benevola rispetto all’Italia risorgimentale e più tardi spinto l’Italia fascista in Spagna. Alle scalmane delle ideologie l’ambasciatore Romano ritiene di poter riservare una cortese incredulità. Ma questo libro è meno gelido degli altri. Si può segnalare un fremito repubblicano nel diciassettenne partecipe dei comizi del 2 giugno; e un accenno di partecipazione emotiva persino quando parla dei vecchi tempi in Urss: l’ora della nostalgia. In conclusione: lavorando su questo registro, forse, un sentore di Cose viste potrebbe prender corpo, da Ugo Ojetti dei nostri tempi, ancor più distaccato e scettico. Un’associazione mentale e un augurio.

Mario Isnenghi