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Seta e anarchia. Teorie e prassi degli anarchici italiani a Paterson

Stefania Mazzone
Soveria Mannelli, Rubbettino, 169 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2018

A Paterson, poche miglia da New York, vivevano all’inizio del ’900 trentamila ita- liani, il 50 per cento dei quali impiegati nell’industria della seta. I tessitori e i tintori dei distretti tessili italiani avevano cominciato a giungere numerosi nel New Jersey nel corso dell’ultimo decennio dell’800, approfittando di una espansione senza precedenti dell’industria serica statunitense, spinta da un mercato interno in continuo allargamento.
Formavano il nucleo più consistente di quella new immigration proveniente dall’Europa meridionale che si stava imponendo rispetto ai flussi tradizionali di manodopera dalla parte centrale e settentrionale del vecchio continente.
Una comunità tranquilla e laboriosa, quella italiana. Tuttavia, Paterson era circon- data da una fama che rappresentava un punto critico per tutti gli uffici di polizia interna- zionali. Una fama dovuta all’attività politica ormai ventennale di un gruppo di tessitori anarchici, con un loro giornale, «La Questione sociale» (1894-1908), diffuso in tutte le colonie italiane degli Stati Uniti. I militanti di Paterson avevano iniziato la loro attività editoriale durante i tempi burrascosi della reazione crispina, quando in patria gran parte degli anarchici era stata relegata nelle diverse isole, o costretta all’emigrazione, e la stampa del movimento soppressa. Per vendicare quella stagione, culminata con la repressione armata dei moti popolari del 1898, proprio da Paterson era partito, nel 1900, il tessitore di origine pratese Gaetano Bresci, che assassinò a Monza Umberto I, segnando una svolta decisiva nella storia politica italiana.
Alla «Questione sociale» seguì «L’Era nuova», che uscì dal 1908 al 1916. Un periodo caratterizzato dal lungo e durissimo sciopero di Paterson del 1913, che venne diretto dai sindacalisti rivoluzionari aderenti agli Industrial Workers of the World e che vide gli ope- rai italiani in prima fila. Nata nel 1905, la sigla Iww si era insediata soprattutto tra i nuovi immigrati provenienti dall’Europa meridionale e orientale, oltre che tra i lavoratori di co- lore. Contrariamente all’American Federation of Labor (Afl), che difendeva gli interessi di operai specializzati e già da tempo sindacalizzati, gli Iww erano portati allo sconto frontale con i datori di lavoro, attraverso sabotaggi della produzione, campagne di disobbedienza civile, lotte per la libertà di parola e scioperi di massa. Così facendo, guadagnarono con- sensi negli ambienti politici più radicali. Si trattava di militanti che seguivano la corrente malatestiana (da molti definita «organizzatrice») e il loro giornale era essenzialmente di propaganda spicciola, comprensibile agli operai, e preoccupato prima di tutto di un co- stante elevamento delle loro condizioni.
Attraverso i giornali di Paterson, l’a. presenta un quadro complesso dell’anarchismo italiano in America. Il lavoro ha però un limite: manca del tutto la ricerca d’archivio, mentre all’a. sarebbe stato utile, ad esempio, consultare il Fondo Alberto Guabello, Carte Garosci, conservato ormai da alcuni anni dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco di Roma, grazie a una donazione effettuata da Pino Ferraris.

Carlo De Maria