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Silvia Franchini – Diventare grandi con il «Pioniere» (1950-1962). Politica, progetti di vita e identità di genere nella piccola posta di un giornalino di sinistra – 2006

Silvia Franchini
Firenze, Firenze University Press, 295 pp., euro 16,90

Anno di pubblicazione: 2006

Le organizzazioni di massa del PCI togliattiano hanno rappresentato a un tempo un mezzo rilevantissimo del radicamento del partito nella società civile, e un ambito di elaborazione e sperimentazione di pratiche anche piuttosto originali nei settori specifici in cui operavano. L’educazione dell’infanzia, affidata con entusiasmo non certo eccessivo all’Associazione Pionieri d’Italia, concretizzava bene la natura «di confine» del cosiddetto lavoro di massa: fra strumento di reperimento del consenso, insomma, e laboratorio di forme e linguaggi genuinamente ispirati alle più aperte esperienze pedagogiche. Ma è questa una storia ancora poco conosciuta, come il ruolo che vi ebbero figure quali Gianni Rodari (più famoso per le straordinarie e più tarde opere letterarie) e Dina Rinaldi, fino al 1950 direttrice di «Noi donne» e in seguito del «Pioniere». In una ricerca più propriamente pedagogica era negli stessi anni impegnata Ada Gobetti con la rivista «Educazione democratica». I Convitti della Rinascita e altre notevoli esperienze educative per bambini di famiglie disagiate si muovevano intanto su percorsi molto differenti da quelli seguiti nelle scuole statali, sorvegliate da politici di stretta osservanza democristiana. Non solo i contenuti, ma anche le forme di tali esperienze educative erano spesso innovative: il coinvolgimento attivo dei bambini e delle bambine, non meno che delle loro famiglie, prefigurava ad esempio una sorta di comunità pedagogica dai tratti decisamente anticonformisti nell’Italia dell’epoca. Tenendo ben presenti questi elementi, la ricca indagine di Franchini si rivolge alla vicenda del giornalino dell’API e alla figura di Rinaldi. Il volume comprende varie parti: un saggio sulla storia del «Pioniere» (con ampie aperture verso il più vasto contesto politico e culturale, e con molti utili rimandi bibliografici), una nutrita selezione dalla sua rubrica della posta, un profilo di Dina Rinaldi efficacemente correlato con le tendenze pedagogiche più interessanti del tempo, documenti epistolari relativi a una bella iniziativa editoriale del 1960 (una raccolta di racconti per ragazzi commissionati a importanti scrittori). La corrispondenza tenuta con i giovani lettori da Rinaldi, evidenzia in particolare l’autrice, non è un mero catalogo di raccomandazioni per «piccoli missionari di sinistra» (p. 42), ma un dialogo «a basso tasso ideologico» (p. 46) che restituisce ? soprattutto negli anni del boom e nel caso delle ragazze ? «una testimonianza rara su quella matassa di sogni e progetti che, nell’età dello sviluppo, proietta l’adolescente nel futuro con speranze ancora intatte» (p. 52). Nel complesso, il volume si offre anche come documentata ricostruzione di un pezzo non trascurabile della storia politica e culturale del dopoguerra: un racconto che attraversa l’«educazione dei sentimenti», la letteratura per l’infanzia, la storia del giornalinismo italiano, la ricerca di una via pedagogica laica, progressista e «civile» che certamente guardava ai supremi modelli sovietici, ma anche alla sofferta conquista dell’indipendenza nazionale e dei diritti di cittadinanza culminata nella Costituzione repubblicana.

Sandro Bellassai