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Raccontare la storia. Generi, narrazioni, discorsi – 2004

Silvio Lanaro
Venezia, Marsilio, pp. 151, euro 13,00

Anno di pubblicazione: 2004

Non un saggio di epistemologia, ermeneutica o storia della storiografia, ma il diario intellettuale di uno studioso che si confronta con un problema di scrittura: così Lanaro presenta questo denso libretto, che tuttavia molte corpose questioni epistemologiche, ermeneutiche e storiografiche le affronta, in forma di racconto.
Per l’autore ?fonti e scrittura sono entrambe fondative di ogni enunciato o paradigma storiografico, e nessuna esercita una funzione ancillare nei confronti dell’altra? (p. 54). La loro è peraltro una parità ?a geometria variabile?: se talora la superiorità epistemologica dello storico è netta, fonti come quelle processuali, affini alla storiografia perché mirano alla formazione di prove, resistono ai suoi ?sforzi di riscrittura problematica, ai supplementi d’indagine, alle investigazioni ?scientifiche’? (pp. 38-39). A volte, come nel caso dei nostoi, i racconti del ritorno, addirittura la superano.
Unita a una netta affermazione del primato della narrazione, del ?valore consustanziale della ricerca e della scrittura? della storia (p. 64), questa concezione introduce al tema, centrale nel libro, del rapporto tra narrativa storica e fiction. Posto che esistono usi storiografici della fiction e usi letterari delle fonti, e che quest’aporia non è ignorabile, Lanaro si serve di una serie di esempi per mostrare come, specie nella sfera dell’individuale, la prima possa svolgere la funzione di sorreggere quella ?ipertrofia interpretativa? che talvolta è il solo strumento ?per non arrendersi all’imperscrutabilità di un passato reso segreto dalla penuria dei documenti? (p. 90). Spesso, del resto, i racconti di res fictae e res factae ?contaminano e mutuano reciprocamente attrezzi linguistici, espedienti letterari e riferimenti contestuali? (p. 133). Assai fecondo, per la storiografia, è in particolare il ricorso a una procedura specifica del racconto quale l’adozione di un punto di vista, preferibilmente mobile.
L’autore considera quindi alcune tendenze storiografiche influenzate dallo strutturalismo e dalle scienze sociali, che ? come la scuola delle «Annales» ? rifuggono da ogni impianto narrativo, per mostrare come anch’esse rientrino infine nel campo della narrazione. Benché privo di sequenzialità, il Mediterraneo di Braudel si caratterizza ad esempio per una narrazione ?pittorica? ed è al primato della scrittura che egli affida l’autonomia della storia. Anche nei casi di ?più drastico ripudio della comunicazione discorsiva?, come quello della cliometria, si assiste insomma ad una riconciliazione tra metodo quantitativo e ?parola significante?.
Limitandosi ad accennare a questi aspetti, qui Lanaro dà l’impressione di operare una riduzione troppo drastica alla narrazione di strategie di ricerca e argomentative assai diverse, ma il suo richiamo a una maggiore consapevolezza critica nell’uso che gli storici ? privi di un linguaggio proprio ? fanno delle terminologie di altre discipline, è tutto condivisibile. Così come l’obiettivo di costruire un’ortografia, una sintassi e un lessico sufficientemente accreditati e condivisi, che egli addita come premessa per elaborare un pensiero storiografico a partire dalle ricerche empiriche.

Tommaso Detti