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Simona Salustri – Un ateneo in camicia nera. L’Università di Bologna negli anni del fascismo – 2010

Simona Salustri
Roma, Carocci, 253 pp., Euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2010

Non nuova a questi temi, Simona Salustri presenta ora un volume dedicato alle vicende dell’Università di Bologna negli anni del fascismo. Il centro del lavoro è costituito dalle relazioni che legavano l’Ateneo bolognese al governo, nel periodo che va dal primo dopoguerra alla Repubblica di Salò, e contemporaneamente agli enti e le istituzioni locali. Con questo obbiettivo viene ricostruito il quadro dei finanziamenti necessari per l’ampliamento dell’Università. Vicende che, dopo i timori delle autorità accademiche e politiche locali che l’Università bolognese fosse collocata dalla riforma Gentile nella fascia degli atenei solo parzialmente a carico dello Stato, facevano di Bologna uno dei maggiori centri universitari del paese. Dentro questi eventi, si possono leggere il turnover dei professori nelle cariche più importanti dell’Ateneo, gli atteggiamenti delle autorità accademiche, il ripiegamento delle voci di dissenso più significative dei Mondolfo, Horn d’Arturo, Galletti, il ruolo di Alessandro Ghigi, rettore dell’Ateneo bolognese dal 1930 all’armistizio. È proprio il tredicennio del rettorato di Ghigi, in cui il fascismo prendeva decisioni di non facile amministrazione, il momento più significativo del lavoro. Ghigi, infatti, gestiva con autorità e contemporaneamente con la capacità di comprendere le diverse sensibilità di molti suoi colleghi, il giuramento del 1931, con il rifiuto del famoso clinico Bartolo Nigrisolo e i difficili passaggi delle leggi razziali e della guerra. Le benemerenze guadagnate da Ghigi in questa ferma, ma prudente direzione dell’Ateneo venivano ben ricompensate dall’appoggio di Mussolini al completamento dell’ambizioso piano di ampliamento e modernizzazione dell’università che prevedeva la costruzione di strutture per ospitare gli istituti scientifici e una riqualificazione complessiva dell’Ateneo. Carriere, poteri locali, edilizia camminano di pari passo con la fascistizzazione dell’università che imponeva anche all’Ateneo bolognese di curvare la sua offerta didattica su discipline nuove che servivano a fare da contrappunto alle varie fasi della politica fascista, dalle ambizioni coloniali al corporativismo e da ultimo al razzismo e alla guerra. Frutto di una esplorazione documentaria assai ampia divisa tra l’Archivio centrale dello Stato e gli archivi storici dell’Università e del Comune di Bologna, il lavoro sembra rimanere impigliato in una visione un po’ schematica della fascistizzazione dell’Università e del comportamento dei docenti, spiegato come una forma di opportunismo. È evidente, e questo lavoro lo dimostra, che la fascistizzazione non è una occupazione dell’università e l’opportunismo, come categoria interpretativa, è amorfa e in sostanza antistorica. Da ultimo, ascrivere la riforma Gentile al fascismo («riforma fascista dell’istruzione») è quanto meno riduttivo perché sottovaluta come questa avesse la sua origine in un dibattito sull’istruzione che coinvolgeva i maggiori esponenti della cultura liberale; e poi, lo smantellamento delle misure centrali già negli anni immediatamente successivi alla riforma dimostra quanto questa fosse poco fascista.

Giovanni Montroni