Anno di pubblicazione: 2014
La vicenda storica del Partito d’azione e degli azionisti, soprattutto degli esponenti più autorevoli e influenti, da diversi anni è oggetto di studio, riflessione, discussione. L’attenzione degli storici e dei politologi, tuttavia, si è prevalentemente concentrata sull’«azionismo» come fenomeno di cultura politica, soffermandosi più sull’elaborazione teorica e dottrinaria del progetto del Pd’A. Meno numerosi invece sono gli studi e le ricerche che hanno privilegiato una ricostruzione fattuale di quella esperienza anche a livello territoriale e periferico.
Una mancanza che pesa notevolmente in quelle aree geografiche dove il Pd’A, tra clandestinità e immediato dopoguerra, ha svolto un ruolo centrale anche se contenuto in una manciata di anni. Gianni Cisotto, da tempo impegnato nello studio dell’azionismo, prova a colmare questa lacuna offrendo una ricostruzione storica complessiva del Partito d’azione veneto (allora comprendente anche la provincia di Udine), protagonista indiscusso durante la lotta di liberazione e tra gli interpreti più significativi, e meno ascoltati, nel dibattito politico dell’Italia liberata.
Strutturato in cinque sezioni, il volume osserva il tradizionale canone temporale del percorso azionista: i cinque anni che separano la fondazione – per il Veneto avvenuta a Treviso nell’ottobre 1942 – dallo scioglimento nell’estate-autunno 1947 e la successiva diaspora. Il taglio adottato dall’a. sembra essere più sensibile alla sintesi proponendo uno svolgimento cronologico-tematico molto attento alla dimensione quantitativa (strutture, sezioni, iscritti, esiti elettorali). La ricerca, come viene sottolineato in apertura, ha risentito dell’insufficiente documentazione archivistica oggi disponibile; un aspetto questo che, inevitabilmente, si collega alla rapida parabola del Pd’A, rimasto presto “orfano” anche di luoghi materiali dove raccogliere e conservare i documenti: diaspora di carte e non solo di uomini.
Dal volume esce un ritratto convincente di una formazione ricca di voci e di volti – non solo espressione di ambienti borghesi e intellettuali – capace di organizzare un capillare reticolo di quadri, iscritti, militanti, simpatizzanti ben più consistente e ramificato di quanto gli sconfortanti risultati palesarono nelle tornate elettorali del 1946.
Appunto finale: una ricognizione in altri istituti di conservazione, a iniziare dall’Acs, assieme a un più convinto sforzo analitico/interpretativo forse avrebbe consentito di completare ulteriormente il quadro e illustrare con maggior puntualità la storia dell’azionismo veneto, le sue contraddizioni e le ragioni dell’insuccesso di un progetto politico comunque pregno di contenuti e proposte innovatrici, a tratti “rivoluzionarie”, di cui il Paese non poté beneficiare, se non in minima parte.