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Sorvegliare e premiare. L’Accademia d’Italia 1926-1944

Gabriele Turi
Roma, Viella, 224 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2016

Fondata nel 1926, attiva dal 1929 al 1944, quando fu soppressa e mai più ricostituita, l’Accademia d’Italia svolse fino alla caduta del regime (sopravvivendo per qualche mese nella Rsi, auspice Gentile) un ruolo cruciale: l’obiettivo di porre la cultura nazionale sotto una stretta tutela politica si esplicò secondo una strategia che mirava insieme al controllo e alla mobilitazione degli intellettuali. Le profonde implicazioni della presenza dell’Accademia (che nel 1939 assorbì i Lincei) sono state tuttavia sacrificate per lungo tempo a un lettura schiacciata sulla natura politica dell’operazione e sul motivo della «corruzione» e compromissione degli intellettuali. Aspetti importanti, va da sé, che da soli non aiutano però ad affinare la proposta interpretativa. Riprendendo temi su cui ha scritto saggi tra i più maturi e innovativi della storiografia italiana, Gabriele Turi entra nei meandri dell’Accademia, ne esplora con pazienza la documentazione, scompone i vari livelli di intervento: mette così a confronto le ambizioni del regime, attento a muoversi al confine tra coercizione e consenso, e le risposte che vennero da un mondo ampiamente permeabile alle lusinghe del potere e ai contenuti del nazionalismo fascista.
Suddivisi nelle quattro classi di Scienze morali e storiche, Scienze fisiche, matematiche e naturali, Lettere, Arti, i 60 posti diventarono presto una meta ambita, per il prestigio e i molti benefici economici cui la feluca dava accesso; in quindici anni le nomine, sottoposte a un crescente controllo politico, furono 117, tra cui figurò una sola donna (Ada Negri). La scelta di Turi di dissezionare la macchina organizzativa e burocratica dell’istituzione, se talora rallenta la fluidità narrativa, si rivela in realtà funzionale alla ricostruzione di una storia che di dati, cifre, elenchi, disposizioni è profondamente intessuta. Pagine importanti del libro sono infatti dedicate all’attività di promozione culturale e al sistema di premi, sussidi, incoraggiamenti che fecero gravitare intorno all’Accademia un numero elevatissimo di intellettuali, dai grandi nomi del panorama nazionale agli anonimi funzionari di provincia. Tra il 1930 e il 1938 l’Accademia vagliò circa 10.000 richieste di sostegno economico, un dato eloquente che in sé rispecchia anche le misere condizioni in cui vivevano tanti studiosi e insegnanti.
L’Accademia non fu priva di tensioni interne, rivalità, veti incrociati: né mancarono voci e provvedimenti ispirati all’idea gentiliana di una cultura nazionale non riducibile alla politica di regime. Significativa, in questo senso, fu l’attività espletata dal segretario Gioacchino Volpe nel campo specifico degli studi storici. Ma al fondo, osserva Turi, la cifra qualificante dell’attività dell’Accademia fu un radicato nazionalismo: oltre a insinuarsi nelle manifestazioni di diplomazia culturale, esso fu ben visibile nei settori – quello umanistico su tutti – in cui il contesto coloniale e bellico accentuò una declinazione dell’italianità imperniata sull’idea di primato e di imperialismo fascista.

Massimo Baioni