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Spencer Di Scala – Filippo Turati. Le origini della Democrazia in Italia – 2007

Spencer Di Scala
Prefazione di Giuliano Amato, Milano, Critica sociale, 277 pp., Euro 12,00

Anno di pubblicazione: 2007

Padre riconosciuto ed effettivo fondatore del socialismo italiano, Filippo Turati non ha avuto una fortuna storiografica commisurata ai suoi meriti. Pochi gli studi a lui dedicati fino agli anni ’80, e per lo più centrati sul periodo giovanile. La biografia più completa – quella di Renato Monteleone pubblicata nel 1987 dalla Utet – è assai critica e a tratti demolitoria. Uno studioso statunitense del socialismo italiano, Spencer Di Scala, ci propone ora un lavoro biografico dedicato alla fase aurea di Turati e del turatismo: quella che va dalla prima giovinezza al «suicidio riformista» del 1912 (la scissione di Reggio Emilia e la definitiva messa in minoranza dei riformisti nel PSI). L’intento, esplicitamente enunciato dall’a. e autorevolmente avallato da una Prefazione di Giuliano Amato, è quello di rivalutare l’opera di Turati e soprattutto il suo contributo positivo non solo alla storia del socialismo, ma anche alla fondazione della democrazia in Italia.Manca però in questo studio qualsiasi confronto con la storiografia più recente, che a Turati ha pur dedicato qualche attenzione. Non sono citati nemmeno in bibliografia, solo per fare qualche esempio, gli atti del convegno tenuto a Milano nel cinquantenario della morte (Filippo Turati e il socialismo europeo, a cura di Maurizio Degl’Innocenti, Napoli, Guida, 1985); non è citata la biografia politica di Franco Livorsi, del 1984; né si accenna alla recente edizione del carteggio con i corrispondenti stranieri curata da Daniela Rava per la Fondazione Turati (peraltro mai menzionata). Il lavoro si esaurisce così, da un lato, in una diligente e non particolarmente originale ricostruzione del ventennio 1892-1912; dall’altro nell’insistita riproposizione dell’assunto iniziale: tutto ciò che di buono ha fatto il movimento operaio italiano sta già in Turati e tutto quanto di male gli è occorso si deve allo scostamento dalla lezione turatiana. Una tesi che nella sostanza si può anche accettare (personalmente la condivido in gran parte), ma che andrebbe esposta in forma più articolata e argomentata, senza scivolare sui nodi non risolti (ad esempio, il rapporto col revisionismo bernsteiniano), sulle contraddizioni e sugli errori (non avrebbe guastato a questo proposito una conclusione meno rapida sulla guerra, il dopoguerra e la scissione di Livorno). E senza piegare il ragionamento a improbabili parallelismi con le vicende degli ultimi decenni. Non credo ad esempio che la strategia berlingueriana del compromesso storico abbia molto a che vedere con Turati e il riformismo (visto che si inserisce pienamente in una tradizione «togliattiana»). Per non dire del recente approdo degli ex comunisti al Partito democratico: una storia di un altro mondo e di un altro secolo che ha con le vicende del socialismo di inizio ‘900 un nesso davvero troppo labile.

Giovanni Sabbatucci