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Stefano Petrungaro (a cura di) – Fratelli di chi. Libertà, uguaglianza e guerra nel Quarantotto euro peo, – 2008

Stefano Petrungaro (a cura di)
Santa Maria Capua Vetere, Spartaco, 157 pp., euro 14,00

Anno di pubblicazione: 2008

Frutto di un convegno svoltosi a Venezia nella primavera del 2007, il volumetto ha il merito di portare l’attenzione sui «conflitti di nazionalità» che minarono alle radici la pretesa «fratellanza dei popoli» attivi sulla scena del ’48 euro peo, senza peraltro sottacere – come osserva A.-C. Ignace in un contributo volto a illustrare sospetti e malintesi che ostacolarono la venuta in Italia dei volontari francesi – che quella parola d’ordine non restò un puro flatus vocis, visto che in Polonia come in Svizzera, in Francia come in Ungheria, «ci furono uomini disposti a lasciare il proprio paese e a difendere con le armi i diritti di un’altra nazione» (p. 111). Né meno ricca di antinomie si presenta la vicenda delle «donne in armi», strette fra le sirene di un’appartenenza nazionale inclusiva e un principio di «fratellanza» che finiva per escluderle a priori (S. Petrungaro), o quella delle comunità ebraiche sollecitate a «fedeltà» politico-culturali nuove e più coinvolgenti proprio mentre si moltiplicavano le voci auspicanti la «rigenerazione» degli «israeliti» ad opera degli israeliti stessi (T. Catalan).Ma il centro del discorso è sulle tensioni che il consenso alla centralità del principio nazionale in quanto criterio di legittimazione politico-istituzionale scatenò ovunque, e che in queste pagine risultano singolarmente rilevanti per effetto della scelta (inusuale nella storiografia italiana) di concentrare l’attenzione sull’area asburgica, che spinge in primo piano, come si sottolinea nell’introduzione, domande e letture diverse dal consueto, anche se forse si finisce col lasciarsi condizionare troppo da insofferenze ed emergenze del nostro tempo. Nei sette contributi – di diversa qualità e spessore – in cui si articola la riflessione, a fare la parte del leone sono infatti le aporie connaturate ai processi (culturali, sociali, politici) innescati dall’affermarsi della centralità identitaria di una idea di nazione tanto pervasiva quanto restia a definire le proprie radici, mentre restano in sordina le potenzialità innovatrici presenti nell’epocale spostamento del baricentro dalla persona del re al corpo della nazione, con tutto quello che ne consegue sia dal punto di vista simbolico e mentale che istituzionale e politico. Così, P. Brunello mette in luce quanto rapido e pervasivo fosse il dilagare del sospetto e dell’insofferenza per qualunque straniero (automaticamente etichettato come «tedesco») nella Venezia di Manin, prima a livello popolare ma ben presto anche in ambito governativo; M. Verginella evidenzia la contraddittorietà del movimento sloveno, intriso di proiezioni identitarie regionali e guidato da intellettuali estranei ai territori in cui si parlava la lingua madre, mentre M. Strecha segue il condensarsi dell’ostilità croato-ungherese intorno al nodo della riorganizzazione/distruzione dell’Impero asburgico: un nodo, questo, che è al centro anche della rilettura che M. Baár fa delle scelte culturali e politiche di due storici tipici degli innamoramenti del ’48 per l’idea di nazione, ma anche delle sue laceranti contraddizioni come il ceco Palacký e l’ungherese Horváth.

Simonetta Soldani