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Stefano Pivato – Bella ciao. Canto e politica nella storia d’Italia – 2005

Stefano Pivato
Roma-Bari, Laterza, pp. XII-378, euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2005

?Un documento utile per capire la storia?: questa la definizione che Pivato dà del canto sociale nell’introduzione al volume. L’opera, divisa in tre parti, scandisce gli ultimi duecento anni della storia italiana attraverso un’analisi dei testi dei canti che hanno goduto di maggiore riscontro popolare. La ?madre? di tutte le canzoni politiche e sociali, è considerata La Marsigliese, la cui eco costituirà un’ineludibile fonte d’influenza nel nostro paese. Dalla Rivoluzione francese in poi, afferma Pivato, il canto sociale sarà sempre più legato alla formazione di un senso di appartenenza e di identità sociale, diventando ?una delle manifestazioni più significative di condivisione di un credo politico? (p. VII). Così, dalla genesi dei canti risorgimentali (gli inni a Garibaldi e Oberdan, o il Canto degli italiani di Mameli e Novaro) al cantautorato di prima e seconda generazione della seconda metà del Novecento, passando per i canti degli emigranti, le canzoni della Resistenza e il Festival di Sanremo, la storia d’Italia è studiata seguendo un fil rouge che, dipanandosi man mano, mostra nodi della storia spesso tralasciati dagli storici tradizionali.
Così si scopre l’ambiguo e altalenante successo del nostro inno nazionale, nato come canto risorgimentale e ?democratico? per eccellenza, fatto proprio dall’antifascismo in contrapposizione ai vari Giovinezza e Faccetta nera, adottato in maniera quasi esclusiva nel secondo Novecento dai movimenti politici più reazionari, per essere infine riportato alla sua dimensione originaria dal presidente Ciampi (capp. IV e XXIV); o la vera storia del successo di Bella ciao, canto partigiano di scarsa rilevanza durante gli anni di guerra, quando invece imperversava l’allora più noto Fischia il vento, recuperato poi a partire dai primi anni Sessanta nell’ecumenico clima dei governi di centro-sinistra per i suoi toni più smorzati e, perché no, anche romantici e commerciali (cap. XIII); o, ancora, come Filippo Turati, prima di diventare leader del socialismo italiano, si sia dilettato nel 1886 nella scrittura dei versi del Canto dei lavoratori.
Il testo, di semplice e chiara lettura, presenta tuttavia alcuni limiti. Lascia perplessi la struttura scelta dall’autore, che divide l’opera in tre parti (alla terza ha collaborato Amoreno Martellini) seguendo una linea cronologica (Dalle origini alla Belle Époque; Due guerre e due dopoguerra; Dal ’68 al G8), per poi però confondere un po’ le idee del lettore con una divisione in capitoli secondo uno schema tematico, con continui rimandi avanti e indietro nel tempo. Inoltre non avrebbero di certo nuociuto al testo un capitolo introduttivo di maggiore spessore e una conclusione, del tutto assente, che tirasse le somme di un’analisi condotta con attenzione ma presentata in maniera forse troppo segmentata.
Un’opera utile e istruttiva, che forse non raggiunge la compiutezza del precedente saggio dello stesso Pivato sul rapporto tra storia e musica (La storia leggera, il Mulino 2003), né la forza evocativa dei testi di Cesare Bermani (uno tra gli altri: Una storia cantata, Istituto De Martino-Jaca Book 1997), ma che ha comunque il pregio della chiarezza, del rigore scientifico e del corredo di uno straordinario apparato di fonti.

Fabio Chisari