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Stefano Santoro – L’Italia e l’Europa orientale. Diplomazia culturale e propaganda 1918-1943 – 2005

Stefano Santoro
Milano, Franco Angeli, pp. 422, euro 30,00

Anno di pubblicazione: 2005

Elaborazione di una tesi di dottorato sostenuta presso l’Università di Trieste e condotta su una vasta base documentaria proveniente da archivi italiani, francesi e statunitensi, il volume illustra le strategie della penetrazione culturale italiana nell’Europa orientale dopo la prima guerra mondiale. Si tratta di una ricerca originale e metodologicamente innovativa, che supera la schematica identificazione tra diplomazia culturale e propaganda politica che ha contraddistinto sinora gli studi sul periodo fascista. Santoro analizza come la politica estera italiana, sin dalla fondazione dell’Istituto per l’Europa orientale (1921), si rapportò alla ?Nuova Europa? in parziale continuità con la riscoperta del mondo ?slavo? e orientale promossa dall’ideologia mazziniana sulla base del principio di solidarietà con le ?nazioni oppresse?, affiancando alle suggestioni risorgimentali categorie preesistenti quali il mito della latinità e quello dell’Europa orientale come antemurale della cristianità, ma anche (soprattutto dagli anni ’30) spunti ?correnti? quali il corporativismo e l’antibolscevismo. I sette capitoli ricostruiscono una vicenda di notevole interesse come il difficoltoso (e per molti versi incompiuto) tentativo, da parte della diplomazia fascista, di trasformare l’interesse degli intellettuali militanti e dei funzionari di formazione umanistica in un apparato in grado di coordinare la dispendiosa opera di diplomazia culturale verso un’area ritenuta prioritaria dal regime. Santoro coglie bene le difficoltà obiettive del progetto, legate in primo luogo all’incerto status di ?grande potenza? detenuto dall’Italia. Illuminante, sotto questo aspetto, il riconoscimento della svolta intervenuta nella strategia di conquista di influenza fascista nel 1933 quando, dopo l’ascesa al potere di Hitler, la fondazione dei CAUR (Comitati di azione per l’universalità di Roma) e delle riviste «Antieuropa» e «Ottobre» segnò il tentativo di rispondere alla ben più efficace espansione culturale promossa dal nazismo. Secondo l’autore il sostanziale fallimento della diplomazia culturale fascista non fu causato dalla sua inadeguatezza, quanto dalla più generale subalternità politica italiana in Europa orientale rispetto alla Germania (p. 403). Questo spiega perché la penetrazione culturale italiana ebbe nell’area interessata una ricezione fragile (Grecia e Bulgaria) o quantomeno influenzata da considerazioni geopolitiche (un esempio: l’ambiguità italiana sulla questione territoriale nel bacino danubiano-carpatico, che generava eguale inquietudine in Ungheria, Romania, Cecoslovacchia e Jugoslavia).
Il saggio, assai sofisticato e convincente nell’analisi delle fonti e nel trattamento della bibliografia italiana, incorre in alcune incertezze interpretative circa le vicende dei paesi dell’Europa orientale, più evidenti nell’utilizzo arbitrario (come nel caso del primo ministro ungherese Bethlen o dello storico romeno Iorga) di categorie come ?fascista?, ?filofascista? o ?antisemita?. Senza nulla togliere al valore della ricerca, si rileva che alla sua coerenza interna avrebbe giovato uno spoglio dalla nuova letteratura, disponibile anche in inglese, sulla storia culturale e sociale dell’Europa orientale interbellica.

Stefano Bottoni