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Stefano Trinchese – L’altro De Gasperi. Un italiano nell’impero asburgico – 2006

Stefano Trinchese
Prefazione di Pietro Scoppola, Roma-Bari, Laterza, XXVII-249 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2006

In questo suo solido lavoro di ricerca sul De Gasperi trentino, Trinchese pone uno dei quesiti basilari per dare un giudizio pertinente sull’opera di questo statista. C’è nella sua biografia una visibile frattura nel modo di concepire l’azione politica tra il periodo austriaco e quello italiano? Trinchese prima ricostruisce con cura il profilo «dell’altro De Gasperi», poi ne cerca gli elementi di continuità nel primo dopoguerra con l’occhio volto al terzo De Gasperi, quello che fonda la DC e domina la vita politica italiana fino al 1953. Gli elementi di continuità, incorporati nella sua formazione originaria, sono di natura ideale. Potremmo riassumerli così: innanzitutto il primato dello Stato nella sua forma costituzionale liberale-democratica sui partiti e il sistema politico; da qui deriva una concezione netta della separazione del ruolo della Chiesa da quella dello Stato nella vita politica; da ultimo una concezione della «nazionalità» che per sua natura trascende lo Stato, non si identifica necessariamente con lo Stato nazionale, ma può convivere in una cornice statuale plurinazionale. Sono tutti e tre retaggi dell’Impero asburgico, ma insieme rispondono a concettualizzazioni che hanno natura propria. Il terzo, venne storicamente meno con la fine dell’Impero, ed è vero ciò che Trinchese suggerisce che, approfondendo il suo nocciolo federalista, lo ritroviamo poi rinnovato nella concezione europeistica di De Gasperi. Quanto al primo di questi principi, De Gasperi cercò di attenervisi nel secondo dopoguerra, ma la formula centrista venne a costituire un primo diaframma. D’altra parte l’anomala osmosi tra sistema costituzionale e politico era già una caratteristica dell’Italia liberale, perfezionatasi poi con il fascismo ed ereditata infine dalla Democrazia cristiana postdegasperiana. Al secondo principio, quello della separazione, De Gasperi rimarrà fedele, fronteggiando i diversi impulsi del Vaticano, specie nel ’52, con l’affare Sturzo. A ciò si connette un’altra sostanziale continuità della sua cultura politica di cattolico, segnata dalla stagione della Rerum Novarum. L’impegno sociale-politico che da quelle premesse i cattolici presero a sviluppare in Europa, partecipando come tali alla vita politica nazionale, si proponeva di difendere la libertà della Chiesa, ed anche, come in Italia, il suo primato religioso, ma nel quadro delle istituzioni liberal-democratiche, di cui facevano propri i principi. Su un punto solo Trinchese non sembra convincente. Gli anni dell’esilio Vaticano non aggiunsero molto a quanto De Gasperi aveva già maturato. C’era la consapevolezza, comune a tutto l’antifascismo militante, che all’era delle tirannie totalitarie sarebbe subentrata una nuova stagione, in cui la democrazia avrebbe determinato l’ingresso delle grandi masse nel recinto delle istituzioni statuali. Ma non può dirsi con ciò che vi sia stata recezione del pensiero di Maritain, che De Gasperi considerava sulla linea di Toniolo. Maritain rimase del resto estraneo a tutta la tradizione popolare. Le due tradizioni si soprapposero poi nella DC e da ciò nacque l’ibrido fanfaniano-doroteo, che solo apparentemente era «integralismo cattolico», ma più semplicemente «di potere».

Piero Craveri