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Stephen B. Whitaker – The Anarchist-Individualist Origins of Italian Fascism – 2002

Stephen B. Whitaker
New York, Peter Lang, pp. 194, s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2002

Il guaio delle genealogie è che se ne possono trovare fin troppe a proposito del fascismo, che pretese di discendere dall’antica Roma e da un’infinità di precursori (Ettore Fieramosca, Francesco Ferrucci, Giovan Battista Perasso il balilla genovese, ecc.) Ma si può sensatamente parlare di origini socialiste del fascismo (Mussolini), o sindacaliste (Rossoni), o monarchiche (De Vecchi), o repubblicane (Balbo), o nazionaliste (Federzoni), o futuriste (Martinetti)? In origine Mussolini era socialista, quindi? Ma in Principio (del fascismo) non era il Verbo, in Principio era il Fatto (la criptocitazione non paia ingiuriosa per il sommo Goethe): il fatto era il totale rovesciamento degli orientamenti precedenti di una generazione politica che passò il Rubicone diventando fascista. Ora uno storico americano presenta l’ennesima genealogia sulle origini ?anarchico-individualiste? del fascismo, tracciando in realtà i ritratti di ex anarchici che capeggiarono i fasci come Arpinati o ne rivendicarono la guida ideologica come Massimo Rocca (meno influenti, nonostante l’opinione contraria dell’autore, appaiono le figure di Maria Rygier e di Torquato Nanni). Whitaker vuol dimostrare che Leandro Arpinati era ispirato da forte sentire e robusto pensiero, che è come generosamente supporre che anche i bruti abbiano un’anima. Arpinati passerebbe dall’anarchismo giovanile alla fronda liberale verso un regime che lo mise alla porta nel 1933, e in seguito al confino. Ma il ?pensiero? di Arpinati poggia su basi gracili, marginali rispetto all’azione violenta e brutale di cui fu campione. L’autore non tace sullo squadrismo di Arpinati e sulle sistematiche violenze da lui compiute contro gli avversari (inclusi gli ex compagni anarchici). Meno puntuale è invece sulla fase di stabilizzazione del regime, di cui anche Arpinati fu protagonista, fra i più assidui collaboratori di Mussolini al governo. Non restava nulla di anarchico-individualista, a differenza di quanto opina l’autore, in uno degli artefici della centralizzazione autoritaria e totalitaria: per citare la terminologia crociana, la ?statolatria? fu ben promossa dall’ex nemico giurato della prevaricazione statalista. Podestà di Bologna, sottosegretario al ministero dell’Interno, Arpinati fu storicamente e soggettivamente figura importante del pragmatico decennio 1922-1932. E’ in questo ruolo e in questa congiuntura che egli si deve collocare, senza ignorare l’indipendenza di giudizio che gli fece definire Starace ?un cretino, ma ubbidiente?: la guerra intestina con Starace fu la sua rovina. Il suo presunto spirito liberale è al centro di congetture su cui Whitaker si dilunga senza troppo costrutto. A meno che non si voglia proporre l’interpretazione erronea del fascismo come regime pluralista, in cui i fantasmi del passato (qui, la pulsione anarchica a valorizzare l’individuo contro lo Stato) potevano riemergere almeno come nostalgia, se non come piattaforma politica. Al termine della lettura, le origini ?anarchico-individualiste? del fascismo restano un assunto, più che una dimostrazione.

Marco Palla