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Storia dei sionismi. Lo Stato degli ebrei da Herzl a oggi

Arturo Marzano
Roma, Carocci, 256 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il grande pregio del libro di Marzano consiste nel fatto che più che su una storia del movimento, si concentra soprattutto su una ricostruzione delle molte anime che dalle origini caratterizzano il sionismo: prima attento al problema del ritorno fisico; poi con lo sviluppo del movimento laburista e kibbutzistico (all’inizio del ’900) volto a una politica di insediamento e di produttivizzazione; poi sensibile al tema della costruzione di un assetto delle proprie istituzioni (educazione, previdenza e protezione del lavoro, costruzione di una società politica), mentre parallelamente cresce una realtà culturale e politica che rivendica una forte identità nazionalistica, e che vede nella presenza palestinese un problema non risolvibile.
Nel confronto tra tutte queste diverse immagini e «anime» del sionismo che radunano i nomi principali del confronto ideologico interno tra destra e sinistra, tra ideologia dello sviluppo urbano e ideologia del riscatto attraverso il lavoro della terra, si delinea il confronto che non si risolve con la nascita dello Stato, nel 1948.
L’a. con ragione non ferma la ricostruzione del movimento sionista alla fase costituente e propone un’indagine sulle matrici culturali, le componenti ideologiche, le categorie valoriali che arriva fino all’attuale Israele, sottolineando le lunghe continuità, ma anche i rovesciamenti di immagine. Essenzialmente in due immagini. La prima. Il lavoro della terra che prima del 1948 si identificava con il movimento laburista, ora si carica di un valore simbolico e identitario nutrendosi di un immaginario che non è più quello del socialismo della prima metà del ’900, bensì quello teologico del riscatto o della redenzione, proprio dei radicalismi religiosi che a partire dagli anni ’70 hanno avuto cittadinanza culturale e sociale, non solo in Israele, ma in molte realtà politiche, di diversa matrice religiosa. La seconda. La necessità di prendere in carica il problema della presenza araba, non come un incidente imprevisto, ma come parte di quello scenario politico.
Si tratta di un tema che nella lunga storia dei sionismi politici, culturali, socialisti, nazionalisti e religiosi, è stato spesso evitato, ma che ha avuto le sue voci profetiche, culturali e politiche: negli anni ’20 con il movimento Brit ve shalom, guidato da Buber e da Scholem; tra il 1946 e il 1948 da Magnes (il fondatore dell’Università ebraica di Gerusalemme); a partire dagli anni ’70 da parti consistenti del movimento pacifista Peace now e da alcune frange di radicalismo religioso cresciute intorno al filosofo russo-israeliano Leibowitz e almovimento Oz Shalom.
Il paese oggi – attraversato dalla necessità di ripensare se stesso – non può evitare di prendere in carica il tema della presenza araba sopra menzionato, qualunque sia la sua opzione politica. E tuttavia, proprio rispetto alle scelte su questo tema – sostiene Marzano – lì si esprimerà la natura politica di Israele: se aperto, oppure destinato a chiudersi, radicalizzando la sua fisionomia di etnodemocrazia.

David Bidussa