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Storia della Repubblica. L’Italia dalla Liberazione a oggi

Guido Crainz
Roma, Donzelli, 395 pp., € 27,00

Anno di pubblicazione: 2016

L’a. aveva già pubblicato una storia dell’Italia repubblicana, perlomeno di quella dal «miracolo economico» in poi, nell’ideale trilogia, sempre donzelliana, cominciata nel 1997 proprio con un testo sul boom e poi conclusasi con Il paese reale nel 2013. Il volume in questione compatta il nucleo del racconto di queste opere precedenti, allungando fino al 2015 il racconto e, ovviamente, facendolo cominciare dal dopoguerra e dagli anni ’50, precedentemente non trattati.
Nel confronto con storie altrettanto recenti dell’Italia repubblicana (Giovagnoli, Craveri, Soddu), lo sguardo dell’a. è quello che conosciamo, più attento alle dinamiche sociali e di cultura di massa che a quelle interne alla classe politica, pure assai presenti; con una scrittura che immerge il lettore nel flusso e nell’incastro di citazioni delle fonti, privilegiando gli articoli a stampa ma anche film, documentari, canzoni, romanzi. Uno stile che certo ha contribuito alla fortuna editoriale dei libri di Crainz presso un pubblico di lettori non specialisti. È un merito che siamo i primi a riconoscere, una qualità, quella di parlare a una platea larga che, soprattutto le opere di sintesi dovrebbero sempre prefiggersi (che poi vi riescano, è altro discorso).
Dal nostro punto di vista il volume riproduce, assieme alle qualità, gli stessi limiti dei lavori precedenti. Non riesce a convincerci l’interpretazione dell’Italia repubblicana come «paese mancato», titolo di un libro precedente di Crainz ma giudizio che qui sembra esteso a tutto il periodo. Al contrario, pur con tutti i problemi e le storture, quella repubblicana è stata una storia di successo. E anche il panorama della cosiddetta Seconda Repubblica, che qui nel racconto è l’ultimo atto di un’ideale discesa agli inferi, non è così corrusco come invece l’a. dipinge. Non si chiede agli storici di essere laudatores del passato: ma neppure ci persuade la storia del nostro paese dipinta come un succedersi di continui fallimenti, di cui peraltro non sono quasi mai indicati i responsabili.
Colpisce inoltre, nella parte relativa al dopoguerra e agli anni ’50, il carattere datato, proprio di lontane stagioni di lotta politica, di alcuni giudizi di Crainz. Come si fa, quasi trent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino, a scrivere che i governi di De Gasperi avrebbero «mutilato in maniera significativa la democrazia» (p. 53)? Perché i prefetti usavano la mano pesante (necessaria di fronte alle agitazioni comuniste) e perché fu ritardata di qualche anno la cosiddetta «attuazione» della Costituzione? E come si fa a ritenere fallimentare la «politica liberista» di Luigi Einaudi ministro del bilancio quando è ormai assodato che, quelle scelte, non solo hanno salvato il paese dal crollo ma hanno posto le basi per lo straordinario sviluppo degli anni successivi?
Siamo ancora lontani da un giudizio equanime sul nostro recente passato. E sono ancora in molti a continuare a riconoscere meriti a famiglie politiche con cui la storiografia è stata in passato troppo generosa.

Marco Gervasoni