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Storia dello Stato italiano. Dall’Unità al XXI secolo

Leonida Tedoldi
Roma-Bari, Laterza, 281 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2018

Leonida Tedoldi offre con questo volume una ricostruzione strettamente cronologica
delle vicende dello Stato italiano a partire dell’Unità sino agli sviluppi più recenti.
Questi ultimi sono ancorati alla crisi economica mondiale del 2007-2008 che ha messo in
luce difficoltà e distorsioni già note, soprattutto legate alla gestione politico-istituzionale
del debito pubblico. Una particolare attenzione a questo tema aveva animato un precedente
lavoro di Tedoldi (Il conto degli errori, Laterza, 2015) tutto sui rapporti tra Stato e
debito pubblico.
Il volume si divide in sei capitoli, i primi due dedicati al processo di unificazione
vero e proprio e a quella che l’a. chiama «seconda unificazione» – vale a dire i cambiamenti
impressi dalla sinistra storica –, il terzo all’età giolittiana, il quarto allo Stato fascista,
il quinto alla fondazione dello Stato democratico. L’ultimo, il sesto, parte dal 1970 con
l’insediamento delle regioni a statuto ordinario per arrivare grosso modo ai giorni nostri.
Si tratta di una ricostruzione estremamente ordinata, ma anche illuminata da affondi
interpretativi quale quello per cui l’a. fissa alla fine dell’800 la fase in cui lo Stato italiano
non è più solo «esattore del fisco e carabiniere» ma sempre più soggetto attivo in campi
quali l’appalto di opere pubbliche, il pagamento di pensioni, la promozione di enti pubblici
economici (p. 73).
Pagine particolarmente interessanti e in buona misura innovative sono quelle dedicate
alla costruzione e al radicamento di uno Stato coloniale, da una prima fase tutta
incentrata su un sistema giudiziario (con carattere «differenziale tra bianchi e indigeni
») profondamente condizionato dal mantenimento dello stato di guerra e una seconda
fase, successiva ad Adua (1896), segnato dal «depotenziamento del controllo dei militari
sull’amministrazione e l’imposizione di un governatore civile che ripristinasse la pressione
del potere dello Stato sugli apparati militari coloniali» (p. 87). Lo Stato coloniale si
trasformò radicalmente nel 1936 con la proclamazione dell’impero, anche se il «totalitarismo
coloniale» si rivelò in ultima analisi pure esso imperfetto, con un viceré d’Etiopia
che aveva meno poteri del ministro dell’Africa italiana, mentre sui governatorati coloniali
venivano catapultati, interferendo gli uni con gli altri, comandi e indicazioni di Roma
e Addis Abeba. Quanto allo Stato fascista, Tedoldi si affianca a recenti interpretazioni
tese a sottolinearne il carattere non monolitico, legato soprattutto alla diarchia capo del
governo-sovrano, vale a dire alla sopravvivenza del re a fianco di Mussolini.
Il libro è espressione del recente e crescente interesse di storici e politologi nei confronti
di un tema tradizionalmente riservato ai giuristi. Un fatto che contribuisce a far sì
che in molte delle pagine di questo volume la ricostruzione delle vicende dello Stato si
avvicini alla fine a una storia generale della società italiana.

Luciano Marrocu