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Storia di un diplomatico. Luca Pietromarchi al Regio Ministero degli Affari Esteri (1923-1945)

Gianluca Falanga
Roma, Viella, 436 pp., € 33,00

Anno di pubblicazione: 2018

La biografia di un funzionario di Stato pienamente coinvolto nelle strategie di conquista dell’Italia di Mussolini. Il diario di Luca Pietromarchi diventa una possibile zona franca nella quale riversare considerazioni che non sempre si allineano alla proiezione esterna del fascismo nel suo divenire. Un curriculum impeccabile: capo strategico dell’Ufficio Spagna durante la guerra civile, al vertice dell’Ufficio guerra economica al momento dello scoppio del secondo conflitto mondiale, direttore del Gabinetto armistizio e pace, fra i principali protagonisti di scelte e indirizzi dell’occupazione italiana nei Balcani. Al momento della Liberazione, viene epurato e consegnato a una memoria schiacciata sulla funzione di irreprensibile funzionario al servizio del regime. Eppure le pagine di diario rendono l’itinerario biografico dell’ambasciatore più complesso e contraddittorio dei ruoli e delle funzioni che ricopre. L’a. dialoga con la fonte costruendo una trama che unisce il diario, i riferimenti al contesto, le considerazioni e i giudizi interpretativi. L’equilibrio non sempre restituisce la necessaria distanza dagli eventi, né riesce a valorizzare con continuità le diverse pagine di una scrittura ricca e articolata.
Interessanti i riferimenti al clima della capitale, alle tendenze di un cattolicesimo aristocratico folgorato dall’ascesa di Mussolini: «Padre e figlio, caddero in pieno nell’equivoco clerico-fascista della restaurazione cattolica, della “cattolicizzazione” del fascismo, del mito di Mussolini “nuovo Costantino”» (p. 52). Una nuova leva di diplomatici entra nelle strategie di costruzione del regime, che individua nella proiezione mediterranea una priorità identitaria e strategica. Il diario registra le ambizioni di un giovane militante, le ambiguità e le inconsistenze della guerra parallela, i risvolti profondi del rafforzamento della Germania sulla scena internazionale del nuovo ordine europeo.
Il peso del nazionalismo espansionista si misura nelle intemperie della guerra di conquista segnata dall’implementazione della soluzione finale. È su questo piano che il tragitto dell’ambasciatore si delinea con un tratto di umanità nella realtà pluridimensionale della cattura degli ebrei. Partecipa a una vera e propria congiura diplomatica che riuscì, non senza zone d’ombra, a impedire la consegna di migliaia di persone presenti nei territori che l’Italia aveva conquistato. «Un gruppo di diplomatici e ufficiali delle forze armate dell’Italia fascista che, pur condividendo con la Germania nazista la follia di una legislazione razziale antisemita, decisero di salvare la vita agli ebrei di Croazia. Erano gli stessi ufficiali – è bene non dimenticarlo, chiosa l’a. – che, al contempo, facevano affamare e fucilare gli sloveni» (p. 19). Una pagina sbiadita e cancellata dallo stesso protagonista nel suo lungo dopoguerra: «Per pudore, forse per dignità morale, certamente con la diplomatica consapevolezza che il silenzio e il tempo sono i migliori giudici del nostro agire» (p. 414).

Umberto Gentiloni