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Storia di un silenzio. Cattolicesimo e ’ndrangheta negli ultimi cento anni

Roberto Violi
Soveria Mannelli, Rubbettino, 2017, 243 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2017

La complessa relazione tra cattolicesimo e mafie è da alcuni anni oggetto di studio delle scienze sociali. Ancora più ampio è lo spazio che vi ha dedicato la pubblicistica; e ciò vale soprattutto nel caso della ’ndrangheta. Il lavoro di Violi ha quindi il merito di affron- tare il tema usando la «cassetta degli attrezzi» dello storico, rileggendo cioè il rapporto tra ’ndrangheta e cattolicesimo nel lungo periodo e attraverso fonti archivistiche.
Il volume è diviso in quattro capitoli, in cui le vicende si snodano dal primo ’900 a oggi, passando per la repressione fascista della mafia, il dopoguerra, la «grande trasfor- mazione» della Calabria negli anni ’60-’70, fino a giungere alle mobilitazioni civili e al rinnovato impegno dei laici e del clero calabrese degli ultimi decenni. Il libro si chiude con la scomunica ai mafiosi pronunciata da Bergoglio a Sibari nel 2014.
Il primo capitolo comincia con la citazione di un articolo del 1900, La mala vita in Calabria, pubblicato sulla stampa delle diocesi calabresi, in cui, rilevando la natura associativa della delinquenza calabrese, si sostiene la necessità di combatterla «mediante i programmi stessi del movimento cattolico» (p. 20). Passeranno alcuni decenni prima di avere altre pubbliche denunce della ’ndrangheta. Solo nel 1975 la Cec si pronuncerà con il documento L’episcopato calabro contro la mafia, disonorante piaga della società (p. 150).
Tuttavia, emergono già all’inizio del ’900 alcuni temi cruciali del discorso dell’episcopato calabrese, come la necessità di una costante opera di evangelizzazione, rivolta soprattutto ai giovani; l’urgenza di contrastare forme di religiosità popolare che si sostanziavano in un’«ambiguità dei mafiosi quanto alla loro pratica religiosa» (p. 37); la critica alla stru- mentalità nella celebrazione dei sacramenti.
Nel dopoguerra, un nuovo protagonismo della Chiesa è stimolato dall’avvento della Dc al potere. Emerge la figura dell’arcivescovo di Reggio Calabria, Giovanni Ferro. In questi anni di grande attivismo politico dell’episcopato, in senso anticomunista soprat- tutto, la Chiesa «riscopre» la ’ndrangheta. Ma è l’«Operazione Marzano» a svelare lo stra- potere mafioso nella regione. Non a caso, l’a. individua negli anni ’50 un punto di svolta nella relazione fra Chiesa e ’ndrangheta: il ruolo che va assumendo Ferro ne farà una delle voci più chiare contro la mafia. Pur tra contraddizioni – emblematica la figura del prete di Africo don Giovanni Stilo –, il tema acquisisce quindi una rilevanza pubblica, mentre il Vaticano II rinnova i presupposti dell’azione antimafia della Chiesa. Il vero cambio di passo si registra però dagli anni ’80: è da quel momento che, grazie anche all’azione di «fi- gure chiave» come don Italo Calabrò (p. 177), inizia un percorso di mobilitazione civile, che avvia un processo di rinnovamento nell’azione antimafia della Chiesa calabrese e che coinvolge, dagli anni ’90, attori nazionali e comunità locali. Emerge come il rapporto tra Chiesa e ’ndrangheta non sia mai riducibile a un fenomeno esclusivamente locale, ma si riconfiguri ogni volta nell’intreccio fra dimensione locale e nazionale.

Manoela Patti