Anno di pubblicazione: 2018
Da molto tempo mancava nel panorama storiografico nazionale una storia d’Italia
scritta da un unico autore e intesa, secondo la scansione più logica, come storia dell’Italia
unita: dunque dal 1861 fino ai limiti della contemporaneità. Ultimo esempio di un
qualche spessore era la densa e concettosa Storia d’Italia di Giampiero Carocci, uscita nel
lontano 1975. A cimentarsi nell’impresa è ora un altro studioso di grande esperienza e di
forte personalità come Massimo Salvadori. Naturale che ci si aspetti di trovare nella sua
Storia d’Italia i temi che hanno più fortemente segnato il suo ricco percorso di ricerca.
E infatti si parla di questione meridionale e di teorie della democrazia, di socialismo e di
comunismo; e affiora spesso come un leitmotiv la questione delle «crisi di regime» che
hanno scandito il «cammino tormentato di una nazione».
Certo Salvadori non nasconde le sue idee, e nemmeno le sue simpatie (Giolitti) e
antipatie (Berlusconi). Ma non ci si aspetti di trovare in questo libro lo svolgimento di
una tesi precostituita e nemmeno nuovi scorci tematici o nuove proposte di periodizzazione.
Con una scelta per certi aspetti coraggiosa, Salvadori adotta risolutamente il taglio
«manualistico», nella sua versione più ampia e completa: 550 pagine in corpo piccolo di
narrazione fitta e circostanziata, piena di date e di dati, di statistiche economiche e demografiche,
di risultati elettorali e di composizione di governi; quasi nessuna deroga all’ordine
cronologico; pochi allargamenti tematici e di dibattito critico su alcuni temi classici:
come le tesi di Romeo (che l’a. in sostanza condivide) sulle modalità dell’unificazione,
o quelle di Emilio Gentile sul totalitarismo fascista (qui ridimensionato ma non negato
del tutto). E poi Salvemini e Giolitti, l’ultimo De Felice e il De Gasperi di Scoppola. Ma
anche, in conclusione, una pacata riflessione sui motivi della sconfitta di Matteo Renzi nel
referendum costituzionale del 2016.
Leggendo il libro si avverte a volte l’esigenza di qualche pausa in più, di qualche
dissimmetria in una trama narrativa che, soprattutto negli ultimi capitoli, rischia a volte
di sacrificare la leggibilità alla completezza dell’informazione. Sarebbe dunque inutile cercare
lacune in una narrazione così ampia e puntigliosamente dettagliata. L’unica significativa
assenza riguarda il movimento cattolico intransigente degli ultimi decenni dell’800:
un soggetto che nel libro fa la sua comparsa solo nel momento in cui le sue vicende
incrociano più da vicino quelle della politica italiana.
Infine una perplessità che non riguarda tanto l’opera in sé, notevole sotto tutti i
punti di vista, quanto il suo pubblico potenziale. In questo libro nulla è sottinteso o
dato per conosciuto. Tutto è raccontato e spiegato chiaramente anche se sinteticamente.
Si ha come l’impressione che sia destinato a un lettore che della storia dell’Italia ottonovecentesca
sappia poco o nulla. Ma si può consigliare a un lettore siffatto un libro di
questa mole e di questa densità?