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Suite italiana. Costumi, caratteri, dispute da Calepio a Leopardi

Inge Botteri
Roma, Viella, 271 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il libro prende in esame quattro opere, scritte tra il 1727 e il 1825, accomunate dalla
riflessione sul tema dei costumi, dei comportamenti, dell’etica, e più in generale della
civiltà e dell’identità italiana: Pietro Calepio, Descrizione de’ costumi italiani; Giuseppe
Baretti, Gl’italiani o sia relazione degli usi e costumi d’Italia; Melchiorre Gioia, Riflessioni
sull’opera intitolata L’Homme du Midi et l’Homme du Nord ou l’influence du climat del
sig. di Bonstetten; Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani.
Quattro testi scritti a cavallo tra la fine di un’epoca, l’Antico Regime, e l’avvento di
una nuova modernità, politica, economica e culturale, in un’analogia, che l’a. evidenzia
sin dall’inizio, con i tempi d’oggi, segnati, come allora, dalla perdita «dei sistemi di valori
nei quali si è creduto e vissuto» (p. 9).
Nobile bergamasco, nella sua Descrizione Calepio affronta molti temi: dalla virtù
della prudenza all’economica, dalla religione all’onore dei tanti autori italiani distintisi
in campo letterario o scientifico. Scritta come replica al resoconto di viaggio dell’inglese
Samuel Sharp, Gl’italiani di Baretti, critico letterario e scrittore vissuto a Londra, è una
vivace difesa degli italiani, i quali, pur così diversi tra loro, sarebbero tutti civili, affabili e
inclini all’amicizia. Concepite in risposta allo svizzero Bonstetten, sostenitore della superiorità
degli uomini del Nord d’Europa su quelli del Sud, le Riflessioni difendono quella
che Gioia, autore anche del Nuovo galateo, considera l’immagine veritiera dell’Italia e
degli italiani, dalla nobiltà al popolo, dalla morale alla scienza. Infine il Discorso, nel quale
Leopardi lamenta l’assenza in Italia di una «società stretta», di una élite capace di svolgere
un ruolo di guida sociale e, di conseguenza, la mancanza di unità di un popolo privo di
una civiltà comune.
Con Suite italiana l’a. porta a compimento un percorso di studi molto serio e approfondito,
centrato sul tema del galateo e della buona creanza in Antico Regime, nell’ambito
del progetto «Europa delle corti». Anche in questo, come in lavori precedenti, Botteri
lascia trasparire un atteggiamento di rimpianto sia per la «forma del vivere» di Antico
Regime, che «ha connotato l’Europa per quasi quattro secoli» (p. 12), sia per il ruolo primario
«giocato dall’Italia nella costruzione di quella modalità del vivere» (ivi).
Mi sembra tralasci così, quanto l’Europa, tra ’400 e ’700, sia stata profondamente
lacerata, per cui risulta difficile se non sbagliato pensare nei termini di un modello di
civiltà condiviso. Nemmeno i comportamenti possono essere ridotti ai soli modelli ideali,
proposti o descritti da intellettuali e gentiluomini (dei quali non intendo sminuire
l’importanza), ma in essi debbono essere inclusi anche le strategie di sopravvivenza, la
manipolazione delle norme, le lotte, le speranze, le rivolte, di individui o gruppi che non
sempre, o quasi mai, si riconoscevano in quei modelli e valori. Ne uscirebbe un’immagine
più mossa e meno coesa della storia italiana ed europea.

Luisa Tasca