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Suzanne Stewart-Steinberg – The Pinocchio effect. On making Italians (1860-1920), – 2008

Suzanne Stewart-Steinberg
Chicago-London, University of Chicago Press, XV-431 pp., $ 45,00

Anno di pubblicazione: 2008

Brillante e acuto, ma non sempre convincente nelle scorribande tra testi e sottotesti, fra segni, simboli e indicatori di senso, The Pinocchio Effect viene assunto dall’a. come emblematico del Making Italians nel periodo che siamo abituati a definire dell’Italia liberale, ma che è da lei considerato strutturalmente «post-liberale», e dunque non passibile di essere letto e giudicato in base a categorie come «social contract, free will, and consent» (p. 66), modellate sulla cultura dell’89. Come Pinocchio – burattino senza fili che solo l’adesione all’ideologia dominante trasformerà in un «normale» essere umano, pienamente partecipe del corpo sociale perché ad esso omogeneo – gli italiani del periodo considerato hanno reciso i legami con il vecchio ordine (morale, sociale, politico) e sono in cerca di un nuovo «centro di gravità» individuale e collettivo, particolarmente arduo da trovare in un paese in cui «concern about national disaggregation was paramount» (p. 149).L’attenzione dell’a., peraltro, non è sugli italiani (termine da declinare rigorosamente al maschile, perché «the project of making Italians […] and its language referred to men or future men only», anche se le donne avevano in esso un ruolo decisivo: quello di realizzare condizioni e modelli favorevoli a un rilancio su nuove basi dell’egemonia maschile, p. 3); è su alcuni intellettuali, concetti e dibattiti considerati emblematici della «modernità» di gran parte dei «discorsi» elaborati dalla cultura italiana fra ’800 e ’900: una modernità con troppa disinvoltura negata dagli studiosi italiani, prigionieri del mito di una onnivora «arretratezza italiana». Di qui il rilievo dato alle elaborazioni concettuali di Sighele sul carattere tutto ideologico del consenso nelle società post-liberali, o a quelle di Lombroso su soggetti marginali, criminali e/o devianti, che finiscono per enfatizzare la lontananza del «popolo da costruire» rispetto a quello dell’illustre passato; di qui, ancora, l’interesse per Maria Montessori, di cui si enfatizza la capacità di lasciarsi alle spalle i tradizionali schemi dualistici (religioso/laico, tradizionale/moderno, materiale/spirituale, privato/pubblico) e di muoversi attraverso figure simboliche e strutture mentali, virtù individuali e attitudini collettive proprie della tradizione cattolica, proprio allora rivitalizzata dalla capacità della Chiesa di individuare nelle donne, nelle masse rurali, nei soggetti marginali dell’industrializzazione altrettante figure portanti di una identità nazionale cattolica forse reazionaria, ma non per questo antimoderna. Altrettanto ricche di spunti risultano le considerazioni svolte a partire dalla «novella antiparlamentare» di Matilde Serao e dalle pagine di De Amicis su Amore e Ginnastica, dal dibattito sull’infanticidio e sull’ipnotismo…; resta il fatto che, col procedere della lettura, il rincorrersi di richiami a paradigmi batteriologici, immunitari e indiziari, di allusioni alla biopolitica e al decostruzionismo, di rinvii a Derrida e Foucault, a Esposito, Zizek e Marey, finisce per generare un bisogno di linearità discorsiva e di ordine concettuale che è l’opposto di quel che l’a. si proponeva.

Simonetta Soldani