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Thabit A.J. Abdullah – Dittatura, imperialismo e caos. L’Iraq dal 1989 – 2008

Thabit A.J. Abdullah
Torino, Edt, 16, pp., euro 18,00 (ed. or. New York, 2006)

Anno di pubblicazione: 2008

Il libro dell’a., docente alla York University di Toronto, è un’agile sintesi della storia dell’Iraq con una particolare attenzione agli anni successivi alla caduta del muro di Berlino, simbolica apertura di una nuova fase della storia contemporanea. Nella prefazione all’edizione italiana è espressa con chiarezza la tesi centrale del lavoro: le divisioni settarie del paese e l’indebolimento della società irachena sono la conseguenza non di un difetto originario, legato alle modalità di fondazione dello Stato iracheno dopo la prima guerra mondiale, bensì del regime autoritario del partito Ba’ath e «delle mire dell’imperialismo occidentale». Una tesi che il libro non riesce a dimostrare completamente sia per le contraddizioni in esso presenti sia per l’esiguità e la scarsa autorevolezza delle fonti utilizzate. Nel primo caso, infatti, più volte sono ricordate le tensioni e gli scontri avvenuti dopo la nascita dell’Iraq fra le principali comunità etnico-religiose che compongono il paese: quella sunnita, minoritaria demograficamente ma fino all’occupazione occidentale del 2003 pressoché unica depositaria del potere, quella maggioritaria sciita e quella curda.Inoltre, smentendo anche in questo caso la tesi iniziale, l’a. sottolinea come durante il regime ba’athista, caratterizzato dal progressivo dominio di una élite sunnita di estrazione tribale, si sarebbe realizzata una sorta di integrazione con le altre componenti del paese fondata sull’applicazione imparziale del terrore e sulla condivisione delle enormi ricchezze petrolifere. È fuor di dubbio che l’intervento anglo-americano del 2003 abbia avuto conseguenze drammatiche sulla società irachena, acuite dall’assenza di una pianificazione nell’azione di nation-building. Tuttavia, affermare, come fa l’a., che la creazione nel 2004 da parte degli Stati Uniti di un Consiglio di governo iracheno, nel quale erano presenti le varie componenti confessionali del paese, abbia acuito il settarismo non ci sembra condivisibile, anche perché la successiva scelta di creare un governo di unità nazionale da parte del Parlamento iracheno viene giustamente salutata come un passo importante verso l’unificazione del paese e la democrazia.L’altra debolezza di questo lavoro, la più importante, consiste nell’utilizzo di fonti troppo esigue e spesso poco autorevoli. Parlare di casi di corruzione e frode nelle varie fasi della ricostruzione guidata dagli Stati Uniti, ricordando l’esistenza di «molte fonti» senza però citarne neanche una, nonché fare riferimento a un articolo di Naomi Klein apparso su «Harper’s Magazine» per delineare il pressappochismo dell’Amministrazione americana nell’opera di ricostruzione dell’economia irachena non giovano alla credibilità di quanto affermato.Una credibilità danneggiata dal palpabile rancore verso gli americani presente in molte pagine del libro. Un sentimento comprensibile, viste le origini dell’a., che lo porta, però, a utilizzare ampiamente espressioni come «aggressivo neoimperialismo statunitense», sulla base di un’interpretazione approssimativa e semplicistica della politica americana in Medio Oriente dopo la seconda guerra mondiale.

Lorenzo Medici