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Theodore S. Hamerow – Perché l’Olocausto non fu fermato. Europa e America di fronte all’orrore nazista – 2010

Theodore S. Hamerow
Milano, Feltrinelli, 496 pp., € 28,00 (ed. or. New York, 2008)

Anno di pubblicazione: 2010

La tesi dello storico americano Hamerow è la seguente: negli anni dell’affermazione del regine nazista, poi in quelli della guerra, e ancora successivamente, almeno fino al processo Eichmann (1961), non è vero che l’opinione pubblica non sapesse, nei dettagli e in tempo reale, della persecuzione e poi dello sterminio antiebraico. In tutto quel tempo, sostiene Hamerow, l’opinione pubblica democratica è insensibile alla questione dei diritti umani in generale e ha un’immagine impaurita del mondo ebraico europeo che cerca una possibilità di vita oltre Atlantico e che in gran parte rimarrà intrappolato in Europa. La conclusione è che non solo lo sterminio è avvenuto, ma anche che gran parte dell’obiettivo che il nazismo si proponeva è stato conseguito.Come fu che molti sapessero in tempo reale (i governanti europei e americani, le opinioni pubbliche, i famigliari dei militari al fronte, le popolazioni intorno, i «vicini della porta accanto») che cosa stesse avvenendo in Germania prima – tra il 1933 e il 1938 – e poi nei territori che lentamente sono inglobati nel Reich hitleriano (Austria, Cecoslovacchia) o conquistati militarmente a partire dal settembre 1939, ma pochissimi intervenissero?Sostiene Hamerow che questo non nasce da un antisemitismo dichiarato, ideologico, ma dal senso del numero di ebrei che si poteva sopportare (non più dello 0,5 per cento della propria popolazione). Questo perché degli ebrei si temeva la forza presunta o si fantasticava intorno a poteri economici, politici o finanziari. Una sensazione di accerchiamento inventato che non è insensibile alla necessità che nei confronti degli ebrei si promuovano leggi che ne diminuiscano le libertà o li privino di diritti. Allo stesso tempo una condizione che impedisce anche a coloro che vorrebbero intervenire di temere che la loro azione sia fraintesa, percepita come «antinazionale». Una situazione che non risparmia nessuno. Paesi tradizionalmente aperti all’immigrazione come gli Stati Uniti, il Messico o l’Argentina. Paesi che hanno nella loro carta di identità l’idea di libertà come la Francia o la Gran Bretagna. Paesi che non hanno problemi di spazio come il Canada o la Svezia. Paesi che nominalmente si battono per l’uguaglianza sociale come l’Unione Sovietica.Una convinzione che non viene meno con il procedere dello sterminio e che non deflette almeno fino a tutti gli anni ’50, quando ormai è chiara una cosa: che non si tratta più di salvare l’ebraismo europeo sopravvissuto, ma di trovare un nuovo equilibrio in una condizione di diversa redistribuzione di chi è rimasto. È così che nasce la sensibilità sull’Olocausto come tragedia del ‘900. Perché quella paura che ha bloccato tutti è almeno temporaneamente sopita e in un qualche modo si può dire «risolta», e allora può sorgere il «giorno della memoria»: non per sapere qualcosa che si è sempre saputo, bensì per placare un’ansia.

David Bidussa