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Tiziana Noce – Il corpo e il reato. Diritto e violenza sessuale nell’Italia dell’Ottocento – 2009

Tiziana Noce
San Cesario di Lecce, Manni, 221 pp., Euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2009

La Legge 66/1996, riconoscendo la violenza sessuale un delitto contro la persona, ha finalmente abrogato la disciplina che la considerava un’offesa contro la morale. Prima ancora però, prima dei Codici penali italiani, la separazione illuminista fra diritto e morale era già arrivata a considerare la violenza carnale come un reato contro la persona. Cosa era successo, allora, nel frattempo? L’a., che soprattutto si è occupata di storia politica delle donne nel fascismo e nell’Italia repubblicana, in un suo precedente saggio si era avvicinata alla storia ottocentesca della violenza sessuale proprio a partire da questioni attuali (La legge contro la violenza sessuale: domande di oggi a processi di ieri, «Rivista di storia contemporanea», 3 [1991], pp. 423-450). Nel volume intende esaminarne la storia non lineare nella dimensione giuridica, e in particolare analizza i casi processuali del Tribunale di Pisa e della Corte di Lucca tra il 1850 e il 1878. Su 74 processi con quell’imputazione, le condanne sono 8, lo scarto che evidentemente corre tra la dottrina e la giurisprudenza fa da breccia attraverso cui approfondire l’indagine. Dal primo capitolo generico, e il più lungo, sul processo di unificazione giuridica, si passa ad indagare il reato di stupro nei Codici penali preunitari, fino al Codice Zanardelli che assunse a riferimento due Codici molto diversi, il sardo e il toscano. E qui la lezione inascoltata di Francesco Carrara: registrando che seppure la violenza carnale passava come un’offesa anche contro la famiglia, come tutti i reati a sfondo sessuale, asseriva che questo poteva essere solo un aspetto accidentale rispetto al diritto dell’individuo che è il vero soggetto. Non si punisce la violenza contro la donna solo se e perché ha un padre o un fratello, ma perché – aveva spiegato – la donna ha una personalità che non deve essere oltraggiata. Proprio a questo principio così avanzato, e al fatto che i legislatori italiani l’abbiano per oltre un secolo negato (non un mero «ritardo»), l’analisi avrebbe potuto dare più sviluppo, entrando su terreni non scontati. Nell’esaminare le fonti della pratica giudiziaria toscana, il discorso si complica e al contempo si diluisce perché la periodizzazione considerata, coincidente con quella del fondo archivistico, inizia prima del Codice penale toscano del 1853, che i lavori preparatori del Codice penale italiano del 1889 affermarono di avere a modello, ed arriva soltanto al 1878. Oltre alle differenze tra dottrina e pratica, risultano quelle interne alla pratica stessa tra la fase istruttoria fino alla Camera di consiglio dove si inclina all’ipotesi di reato più grave e quella del Tribunale e delle Corti superiori che invece tende ad attenuarla, utilizzando a piacimento il cosiddetto parere tecnico dei periti medici sull’eventuale consenso della donna. E la conclusione porta dunque a guardare quello che ci si aspettava dalle donne violentate, affinché si ammettesse che erano appunto vittime.

Patrizia Guarnieri